giovedì 27 ottobre 2016

Confessione di un traduttore dilettante

Ho iniziato a lavorare con la lingua tedesca circa otto anni fa limitatamente al tradurre, certo ho fatto progressi nel senso che adesso sono meno vincolato ai dizionari, sei, comunque non ho alcuna pratica, non parlo né capisco e sempre, quando capita che veda parole tedesche scritte, ho difficoltà. Non so scrivere se non commettendo caterve di errori. Ciò nonostante ho tradotto quasi tutti i testi brevi di Kafka e mi trovo oltre la metà del romanzo noto con il titolo America. Ho tradotto del resto diversi testi di Schnitzler, un testo di Von Kleist, uno di Thomas Mann, e un romanzo di Duerrenmatt. Ho tradotto anche due raccolte di racconti brevi di Thomas Bernhard. Non sono un principiante, ma un cosiddetto dilettante, sordo, muto e analfabeta. L'italiano delle mie traduzioni da Kafka (a parte l'eventualità di qualche cantonata) è abbastanza contorto, senz'altro non è arioso, è ampolloso, ma penso che togliendo questi difetti in modo radicale io farei assurdamente prevalere la mia mente e i miei gusti, ragione per cui tradirei il testo kafkiano. Un fenomeno meno interessante (perché personale) rispetto a quello che ho appena segnalato riguarda il mio modo di scrivere in italiano: a me sembra che nel mio italiano talvolta si nasconda il tedesco di Kafka, se non il tedesco in genere, che offre delle possibilità, a chi lo pratica come traduttore, di imprigionare, ma in modo divertente, le parole italiane al loro significato letterale, se non etimologico. Si gioca, anche, di più con le parole.
Tornando a Kafka, le mie traduzioni spesso mi danno l'impressione di un linguaggio non sufficientemente letterario, ma invece austero, ufficiale, se non proprio burocratico. Ripeto: ampolloso