giovedì 5 settembre 2013

F.Kafka: Nella nostra sinagoga

Nella nostra sinagoga vive un animale di taglia simile a quella di una martora. Tollera che le persone gli si avvicinino fino alla distanza di due metri, qualche volta è molto bello da vedere. Il suo colore è un verdazzurro chiaro. Nessuno però ha sfiorato la sua pelliccia, quindi non se ne può dire nulla di più, si potrebbe quasi affermare, anche, che il vero colore del pelame è ignoto, forse quello visibile deriva solo dalla polvere e dalla malta cadutevi sopra, ed ha qualcosa anche dell’intonaco interno della sinagoga, solo un po’ più chiaro. Si tratta, considerando la sua ritrosia, di un animale stanziale estremamente calmo; non venisse spaventato così spesso, si sposterebbe ben difficilmente, la sua dimora preferita è la griglia della zona riservata alle donne *, alle cui maglie si aggrappa con agio evidente, si stira e guarda giù dove si prega, quest’audace posizione sembra rallegrarlo, ma l’inserviente del Tempio ha l’incarico di non permetterglielo mai, lui ci si abituerebbe e ciò, a causa delle donne che ne hanno paura, non può essere consentito. Perché lo temano non è chiaro. A prima vista sì, sembra che le spaventino il lungo collo, il muso triangolare, la fila di denti superiori sporgente quasi in orizzontale sul labbro, il pelame chiaro setoloso dall’aspetto molto duro, ma subito si deve riconoscere che tutta quest’apparente spaventosità è innocua. Innanzitutto lui si tiene ben lontano dalle persone, è più ritroso di un animale della foresta, non pare legato ad alcunché se non all’edificio, e la sua personale infelicità risiede tutta nel fatto che quest’edificio è una sinagoga, cioè un posto a momenti animatissimo. Si potrebbe comunicare con l’animale, si potrebbe davvero consolarlo con l’argomento che la comunità della nostra cittadina montana di anno in anno diviene più piccola e ciò le rende faticoso sostenere i costi della manutenzione della sinagoga. Non è escluso che tra breve la sinagoga diventi un granaio o simili, e che l’animale abbia la calma che ora gli manca dolorosamente.
Soltanto le donne, a dire il vero, temono l’animale, agli uomini è diventato da molto tempo indifferente, una generazione lo ha mostrato all’altra, sempre lo si è continuato a vedere, in realtà non gli si è più rivolto uno sguardo, e neanche i ragazzi che lo vedono per la prima volta si stupiscono più. E’ divenuto l’animale domestico della sinagoga, perché la sinagoga non dovrebbe avere un animale speciale apparso in nessun altro luogo? Se ne saprebbe a mala pena l’esistenza, non fosse per le donne. Ma anche loro non hanno nessuna autentica paura di fronte all’animale, sarebbe anche troppo strano temere un siffatto animale ogni giorno - per decine di anni. Si giustificano, certo, con l’argomento che l’animale il più delle volte si trova molto più vicino a loro che non agli uomini, e questo è vero. L’animale non si azzarda a scendere tra gli uomini, ancora non lo si è mai visto sul pavimento. Non gli si permette di arrampicarsi sulla griglia della zona riservata alle donne, così lui si tiene almeno alla stessa altezza sulla parete opposta. Lì c’è una stretta sporgenza del muro, larga appena due dita, che corre intorno ai tre lati della sinagoga, l’animale qualche volta ci transita svelto avanti e indietro, di solito però sta accovacciato tranquillamente in un certo posto elevato dirimpetto alle donne. E’ quasi incomprensibile come riesca così facilmente a servirsi di questo stretto passaggio, e merita di esser visto come, arrivato in fondo, lassù si rigiri, è un animale certo molto vecchio, eppure non esita a fare le piroette più ardite, davvero non fallisce mai, s’è appena girato in aria e già rifà il suo percorso in direzione opposta. Veramente quando lo si è visto qualche volta se ne ha abbastanza e non si ha alcun motivo di continuare a guardarlo. Sì, non è né paura né curiosità quel che tiene le donne in agitazione, fossero più impegnate nella preghiera, potrebbero dimenticare del tutto l’animale, quelle devote lo farebbero anche, se le altre, che sono la gran maggioranza, lo permettessero, queste tuttavia desiderano spesso e volentieri attirare su di sé l’attenzione e l’animale ne è un pretesto ben accolto. Se potessero, se ne avessero il coraggio, attirerebbero l’animale ancora più vicino, per avere ancor più paura. In realtà però è vero che l’animale non si spinge affatto dalla loro parte, se non lo si assale si occupa poco delle donne come degli uomini, resterebbe è probabile soprattutto ritirato, come lui vive tra una funzione religiosa e l’altra, evidentemente in un buco nel muro che ancora noi non abbiamo scoperto. Appena s’inizia a pregare lui appare, spaventato dal chiasso vuol vedere che cos’è successo, vuole restare vigile, vuole essere libero, in grado di fuggire, corre fuori, fa le sue capriole di paura e non si azzarda a ritirarsi fino a quando la funzione religiosa non è terminata. Preferisce l’alto naturalmente perché lì è sicurissimo ed ha le sue migliori possibilità di fuggire sulla griglia e sulla sporgenza del muro, ma assolutamente non sta sempre lì, talvolta scende più in basso verso gli uomini, la cortina che copre l’Arca dell’Alleanza ** è sostenuta da una sbarra di ottone che sembra attrarre l’animale, lui striscia piuttosto spesso fin lì, dove però sta sempre tranquillo, mai una volta, quando è vicino all’Arca, si può dire che disturbi, con i suoi occhi lucenti sempre aperti, forse privi di palpebre, sembra guardare la comunità, ma certo non guarda nessuno, piuttosto guarda soltanto ai pericoli dai quali si sente minacciato.
A questo riguardo lui pareva, almeno fino a poco tempo fa, non molto più assennato delle nostre donne. Quali pericoli ha poi da temere? Chi ha in animo di fargli qualcosa? Non vive in definitiva da molti anni del tutto abbandonato a se stesso? Gli uomini non s’interessano della sua presenza e la maggioranza delle donne sarebbero probabilmente scontente se sparisse. E siccome è l’unico animale dell’edificio non ha del resto alcun nemico. In fin dei conti dovrebbe averlo già capito, negli anni. E la funzione religiosa con il suo chiasso può, sì, essere alquanto paurosa per l’animale, tuttavia essa si ripete con regolarità e senza sospensioni, breve ogni giorno, più lunga nelle festività, anche l’animale più pauroso avrebbe già potuto abituarsi, soprattutto vedendo che il chiasso non è qualcosa che proviene da persecutori, ma è un chiasso che non lo riguarda affatto. E tuttavia questa paura. E’ memoria di tempi lontani o presentimento di tempi a venire? Forse questo vecchio animale non lo sa meglio di quanto lo sappiano le tre generazioni che, di volta in volta, si sono radunate nella sinagoga?
Molti anni or sono, così raccontano, deve davvero esser stato fatto il tentativo di allontanare l’animale. E’ certo possibile che sia vero, probabilmente tuttavia si tratta solo di storie inventate. Certo si può dimostrare che quella volta si è analizzata, dal punto di vista della legittimità religiosa, la questione se un animale simile potesse esser tollerato nella Casa del Signore. Si richiese il parere di svariati noti rabbini, le opinioni si divisero, i più furono favorevoli all’allontanamento ed alla nuova inaugurazione della Casa del Signore, ma tale decreto era facile a distanza, in verità era davvero impossibile allontanare l’animale.
* Divisorio che serve per tenere le donne separate e poco visibili dagli uomini.
** Una cassa di legno ricoperta, dentro e fuori, con lamine d’oro, contenente le due Tavole della Legge . 

martedì 3 settembre 2013

Schermaglie kafkiane (fine)

(Segue)

La versione B di "Descrizione di una battaglia" - o "contesa", è molto più breve della A, infatti non presenta tutte le pagine dedicate al Grassone, né si conclude con la drammatica discussione dell'Alto e del Basso (lo sciupafemmine) su una panchina sita in Laurenziberg. 
Nell'edizione Mondadori dei racconti, il curatore, E.Pocar, afferma che la versione B è non finita. Probabilmente ha ragione. Ma ha avuto meno ragione nel proporre una traduzione che impasta la versione B con la A.
Come nella A, nella B troviamo la cavalcata dell'Alto sulla schiena del Basso ed anche la creazione del paesaggio da parte del narratore (l'Alto), via via che lui procede nella landa. Al posto delle pagine dedicate al Grassone, sciolte in poche parole allusive, "brutti sogni", troviamo tuttavia un ricordo d'infanzia del narratore intitolato "Bambini sulla strada maestra", presente altrove nell'opera di Kafka come testo autonomo (lo trovate tra le traduzioni che abbiamo postato anche qui). La storia del Baciapile (il Pregatore, o, se volete, Orante), invece, ricorre - ma con l'Alto al posto del Grassone. Il colloquio tra i due si svolge ancora nell'androne di una casa, l'Alto si commuove, filosoficamente s'intende, i due si abbracciano, filosoficamente s'intende, sdraiati sugli scalini, quindi escono, non senza che il baciapile provveda a intervenire sull'estetica stellare della volta celeste. L'Alto ha un impegno, deve andare ad un ricevimento, il baciapile lo accompagna fino al portone. Si salutano, infine, mentre il baciapile rimprovera all'Alto maniere un po' troppo spicce. 
Così la versione B termina sulla soglia di un ricevimento, quando proprio dall'interno di un ricevimento era iniziata la schermaglia tra l'Alto e il Basso. Non sappiamo se si tratti dello stesso ricevimento. In tal caso il racconto, nella stesura B, avrebbe un che di escheriano*.


Concludiamo la nostra fatica dichiarando che ciò che abbiamo dato qui è un riassunto, com'è naturale piuttosto tendenzioso. Avvisiamo tuttavia l'eventuale lettore del fatto che, riassunto a  parte, forse il curioso titolo del testo è riferibile a una battaglia di tipo letterario, narrativo, che Kafka sostenne, in questo caso risultando sconfitto.

* Da M.C. Escher, il celebre vertiginoso incisore olandese defunto nel 1972.

Schermaglie kafkiane (5)

(segue). Arrivati sul Laurenziberg l'Alto e il Basso si siedono su una panchina e lo sciupafemmine inizia a lamentarsi del suo innamoramento, dichiarando che si sente imprigionato e che progetta di liquidare l'Annetta dalle mani d'angelo. L'Alto è un po' stupito, ma ancor più si stupisce quando il Basso, in preda a una crisi diremmo di romanticismo isterico (che gli fa accusare l'Alto di insensibilità), si ficca una lama nel braccio. La ferita sanguina, l'Alto non sa che cosa fare, da ultimo i due si avviano, sostenuto il Basso dall'Alto, verso la città, laggiù, anche perché l'alba si avvicina e le cose della vita iniziano ad urgere. E così termina la prima versione di questo lungo racconto giovanile.
(Continua)