giovedì 10 ottobre 2013

Il primo capitolo di "Amerika" - sintesi

Il primo capitolo di "America", pubblicato anche come racconto singolo con il titolo "Der Heizer" (Il fochista), è magnifico. Da qualche parte Kafka ha scritto che si tratta di un suo tentativo dickensiano, e sia, se lo dice lui; ma passiamo oltre.
Il testo consiste in sei scene.
Nella prima Karl, il protagonista, si trova sul ponte della nave appena arrivata nel porto di New York, ma non solo scambia la fiaccola della statua della libertà per una spada, infatti si accorge di aver lasciato di sotto l'ombrello. Lascia la valigia a un certo Butterbaum, lo sciocchino, e si fionda nei meandri della nave, notoriamente labirintici. Si perde, come anche noi ci perderemmo, infine si ferma davanti alla porta d'una cabina, bussa a caso e gli apre un gigante. 
Nella seconda scena abbiamo Karl e il gigantesco fochista, di cui non sapremo mai il nome, chiusi nella cabina. L'uomo rimprovera con ironia e saggezza la grulleria di Karl, che per un ombrello ha lasciato la valigia nella confusione dello sbarco, poi afferma che potranno cercarla a sbarco finito, se ancora sarà dove Karl l'ha lasciata.Nelle more i due conversano e il fochista (o, se preferite, il fuochista) inizia, perdendo punteggio,  a lamentarsi del suo lavoro, in particolare ce l'ha con un certo Schubal, un rumeno di merda (direbbe qualcuno) che sembra si diverta a rendergli la vita impossibile. Karl ascolta e aizza l'uomo, insomma, lui deve andare dal capitano e deve farsi valere. Talk is cheap.
Nella terza scena i due, il gigante e il ragazzino, percorrono gli ambulacri (Gangen) della nave, transitano dalla cucina dove alcune sguattere  sexy, bagnate, lavano piatti e punzecchiano il fochista in merito alla sua strana graziosa nuova compagnia. Bel giovanottino!
Nella quarta scena i due amici si trovano al cospetto del capitano della nave. Il fochista, dopo una breve perorazione di Karl, inizia le sue lamentele, ma davanti ai signori che attorniano il capitano s'imbroglia e si dilunga rompendo l'anima a tutti, mentre Karl guarda fuori allo spettacolo del porto di New York. Uno sballo! Si accorge che il fochista è sì grosso e forte, ma anche imbranato, perde punti a precipizio, e interviene in sua difesa con notevole verve. Naturalmente non ottiene nulla, ma si mette in mostra. Uno dei signori presenti, un senatore americano, gli chiede, a Karl, come si chiama, e così abbiamo il riconoscimento, o agnizione, o anagnorisis (orpo!). Il senatore è lo zio di Karl, ah, che ragazzo fortunato! Che futuro gli si prepara! Costui ha ricevuto una lettera da una certa Brummer, la serva di casa Rossmann (così si chiama Karl), che lo ha avvisato eccetera eccetera. 
Evento notevole in ambito kafkiano: il nostro eroe ripensa a quando la Brummer, incapricciata di lui, per la serie "amori ancillari" se lo è portato in stanza e se lo è fatto, non senza - orrore! tentar di farsi prodigare una buona leccata. 
Fatto sta che la Brummer è rimasta incinta, ecco perché i poveri genitori (o genitori poveri) di Karl hanno pensato di spedire il "violentato" in America, così allo sbaraglio!
Povero bimbo! Dico sul serio.
Naturalmente dopo che è avvenuto il riconoscimento Karl diventa importante, tutti si complimentano, anche i funzionari portuali americani che non capiscono una parola, e lui si prodiga ancora per il fochista, ma lo zio senatore lo ferma, non è il caso. La classe è classe. Di qua i proletari, di là i signori (Herren).
Nella quinta scena entra il sopra ricordato Schubal, xenofobico persecutore del fochista, che vuol difendersi dalle accuse  (di mobbing!), ed ha i suoi testimoni. Sguattere e marinai. Irrompono un po' di proletari e tutto diventa un casino, assai divertente. Una delle sguattere rizzacazzi ha messo ad un marinaio il suo grembiule. Il capitano s'inquieta. E' tempo per Karl di andarsene con lo zio, allora il ragazzo si avvicina al fochista e gli tocca affettuosamente, delicatamente una mano, dev'essere la prima persona che gli ha voluto bene in tutti i suoi sedici anni, che lo ha preso in considerazione. Che lo ha ascoltato. Un colpo di fulmine!
Nella sesta scena zio e nipote scendono giù e montano su una lancia che sta in attesa di loro. Karl guarda su e vede tutta la banda dei testimoni che saluta, il fochista è sparito, e lui, Karl, guardando bene lo zio si domanda: ma questo chi è? Sarà un buon amico com'è stato il fochista?

mercoledì 9 ottobre 2013

La fiaccola che secondo Kafka è una spada

Nel primo capitolo del romanzo "America" (o meglio "Lo scomparso") il protagonista, un ragazzo di sedici anni, arriva in nave a New York da Amburgo e s'incanta davanti alla statua della libertà. Nel testo si legge "la statua della dea della libertà". Il ragazzo, Karl, nota che la statua regge nella mano levata in alto una spada. Noi sappiamo che invece la mano della statua regge una fiaccola. L'errore, voluto o non voluto, è degno di nota. Suggerisce che l'America di cui leggeremo è frutto della mente dell'autore, Kafka, della sua sensibilità. 
Del resto un emozionato ragazzo europeo di cento anni or sono, all'arrivo nel "continente sconosciuto", poteva ben scambiare da lontano una fiaccola per una spada. 
Ed anche un creatore di storie come Kafka lo poteva. O lo voleva?

giovedì 5 settembre 2013

F.Kafka: Nella nostra sinagoga

Nella nostra sinagoga vive un animale di taglia simile a quella di una martora. Tollera che le persone gli si avvicinino fino alla distanza di due metri, qualche volta è molto bello da vedere. Il suo colore è un verdazzurro chiaro. Nessuno però ha sfiorato la sua pelliccia, quindi non se ne può dire nulla di più, si potrebbe quasi affermare, anche, che il vero colore del pelame è ignoto, forse quello visibile deriva solo dalla polvere e dalla malta cadutevi sopra, ed ha qualcosa anche dell’intonaco interno della sinagoga, solo un po’ più chiaro. Si tratta, considerando la sua ritrosia, di un animale stanziale estremamente calmo; non venisse spaventato così spesso, si sposterebbe ben difficilmente, la sua dimora preferita è la griglia della zona riservata alle donne *, alle cui maglie si aggrappa con agio evidente, si stira e guarda giù dove si prega, quest’audace posizione sembra rallegrarlo, ma l’inserviente del Tempio ha l’incarico di non permetterglielo mai, lui ci si abituerebbe e ciò, a causa delle donne che ne hanno paura, non può essere consentito. Perché lo temano non è chiaro. A prima vista sì, sembra che le spaventino il lungo collo, il muso triangolare, la fila di denti superiori sporgente quasi in orizzontale sul labbro, il pelame chiaro setoloso dall’aspetto molto duro, ma subito si deve riconoscere che tutta quest’apparente spaventosità è innocua. Innanzitutto lui si tiene ben lontano dalle persone, è più ritroso di un animale della foresta, non pare legato ad alcunché se non all’edificio, e la sua personale infelicità risiede tutta nel fatto che quest’edificio è una sinagoga, cioè un posto a momenti animatissimo. Si potrebbe comunicare con l’animale, si potrebbe davvero consolarlo con l’argomento che la comunità della nostra cittadina montana di anno in anno diviene più piccola e ciò le rende faticoso sostenere i costi della manutenzione della sinagoga. Non è escluso che tra breve la sinagoga diventi un granaio o simili, e che l’animale abbia la calma che ora gli manca dolorosamente.
Soltanto le donne, a dire il vero, temono l’animale, agli uomini è diventato da molto tempo indifferente, una generazione lo ha mostrato all’altra, sempre lo si è continuato a vedere, in realtà non gli si è più rivolto uno sguardo, e neanche i ragazzi che lo vedono per la prima volta si stupiscono più. E’ divenuto l’animale domestico della sinagoga, perché la sinagoga non dovrebbe avere un animale speciale apparso in nessun altro luogo? Se ne saprebbe a mala pena l’esistenza, non fosse per le donne. Ma anche loro non hanno nessuna autentica paura di fronte all’animale, sarebbe anche troppo strano temere un siffatto animale ogni giorno - per decine di anni. Si giustificano, certo, con l’argomento che l’animale il più delle volte si trova molto più vicino a loro che non agli uomini, e questo è vero. L’animale non si azzarda a scendere tra gli uomini, ancora non lo si è mai visto sul pavimento. Non gli si permette di arrampicarsi sulla griglia della zona riservata alle donne, così lui si tiene almeno alla stessa altezza sulla parete opposta. Lì c’è una stretta sporgenza del muro, larga appena due dita, che corre intorno ai tre lati della sinagoga, l’animale qualche volta ci transita svelto avanti e indietro, di solito però sta accovacciato tranquillamente in un certo posto elevato dirimpetto alle donne. E’ quasi incomprensibile come riesca così facilmente a servirsi di questo stretto passaggio, e merita di esser visto come, arrivato in fondo, lassù si rigiri, è un animale certo molto vecchio, eppure non esita a fare le piroette più ardite, davvero non fallisce mai, s’è appena girato in aria e già rifà il suo percorso in direzione opposta. Veramente quando lo si è visto qualche volta se ne ha abbastanza e non si ha alcun motivo di continuare a guardarlo. Sì, non è né paura né curiosità quel che tiene le donne in agitazione, fossero più impegnate nella preghiera, potrebbero dimenticare del tutto l’animale, quelle devote lo farebbero anche, se le altre, che sono la gran maggioranza, lo permettessero, queste tuttavia desiderano spesso e volentieri attirare su di sé l’attenzione e l’animale ne è un pretesto ben accolto. Se potessero, se ne avessero il coraggio, attirerebbero l’animale ancora più vicino, per avere ancor più paura. In realtà però è vero che l’animale non si spinge affatto dalla loro parte, se non lo si assale si occupa poco delle donne come degli uomini, resterebbe è probabile soprattutto ritirato, come lui vive tra una funzione religiosa e l’altra, evidentemente in un buco nel muro che ancora noi non abbiamo scoperto. Appena s’inizia a pregare lui appare, spaventato dal chiasso vuol vedere che cos’è successo, vuole restare vigile, vuole essere libero, in grado di fuggire, corre fuori, fa le sue capriole di paura e non si azzarda a ritirarsi fino a quando la funzione religiosa non è terminata. Preferisce l’alto naturalmente perché lì è sicurissimo ed ha le sue migliori possibilità di fuggire sulla griglia e sulla sporgenza del muro, ma assolutamente non sta sempre lì, talvolta scende più in basso verso gli uomini, la cortina che copre l’Arca dell’Alleanza ** è sostenuta da una sbarra di ottone che sembra attrarre l’animale, lui striscia piuttosto spesso fin lì, dove però sta sempre tranquillo, mai una volta, quando è vicino all’Arca, si può dire che disturbi, con i suoi occhi lucenti sempre aperti, forse privi di palpebre, sembra guardare la comunità, ma certo non guarda nessuno, piuttosto guarda soltanto ai pericoli dai quali si sente minacciato.
A questo riguardo lui pareva, almeno fino a poco tempo fa, non molto più assennato delle nostre donne. Quali pericoli ha poi da temere? Chi ha in animo di fargli qualcosa? Non vive in definitiva da molti anni del tutto abbandonato a se stesso? Gli uomini non s’interessano della sua presenza e la maggioranza delle donne sarebbero probabilmente scontente se sparisse. E siccome è l’unico animale dell’edificio non ha del resto alcun nemico. In fin dei conti dovrebbe averlo già capito, negli anni. E la funzione religiosa con il suo chiasso può, sì, essere alquanto paurosa per l’animale, tuttavia essa si ripete con regolarità e senza sospensioni, breve ogni giorno, più lunga nelle festività, anche l’animale più pauroso avrebbe già potuto abituarsi, soprattutto vedendo che il chiasso non è qualcosa che proviene da persecutori, ma è un chiasso che non lo riguarda affatto. E tuttavia questa paura. E’ memoria di tempi lontani o presentimento di tempi a venire? Forse questo vecchio animale non lo sa meglio di quanto lo sappiano le tre generazioni che, di volta in volta, si sono radunate nella sinagoga?
Molti anni or sono, così raccontano, deve davvero esser stato fatto il tentativo di allontanare l’animale. E’ certo possibile che sia vero, probabilmente tuttavia si tratta solo di storie inventate. Certo si può dimostrare che quella volta si è analizzata, dal punto di vista della legittimità religiosa, la questione se un animale simile potesse esser tollerato nella Casa del Signore. Si richiese il parere di svariati noti rabbini, le opinioni si divisero, i più furono favorevoli all’allontanamento ed alla nuova inaugurazione della Casa del Signore, ma tale decreto era facile a distanza, in verità era davvero impossibile allontanare l’animale.
* Divisorio che serve per tenere le donne separate e poco visibili dagli uomini.
** Una cassa di legno ricoperta, dentro e fuori, con lamine d’oro, contenente le due Tavole della Legge . 

martedì 3 settembre 2013

Schermaglie kafkiane (fine)

(Segue)

La versione B di "Descrizione di una battaglia" - o "contesa", è molto più breve della A, infatti non presenta tutte le pagine dedicate al Grassone, né si conclude con la drammatica discussione dell'Alto e del Basso (lo sciupafemmine) su una panchina sita in Laurenziberg. 
Nell'edizione Mondadori dei racconti, il curatore, E.Pocar, afferma che la versione B è non finita. Probabilmente ha ragione. Ma ha avuto meno ragione nel proporre una traduzione che impasta la versione B con la A.
Come nella A, nella B troviamo la cavalcata dell'Alto sulla schiena del Basso ed anche la creazione del paesaggio da parte del narratore (l'Alto), via via che lui procede nella landa. Al posto delle pagine dedicate al Grassone, sciolte in poche parole allusive, "brutti sogni", troviamo tuttavia un ricordo d'infanzia del narratore intitolato "Bambini sulla strada maestra", presente altrove nell'opera di Kafka come testo autonomo (lo trovate tra le traduzioni che abbiamo postato anche qui). La storia del Baciapile (il Pregatore, o, se volete, Orante), invece, ricorre - ma con l'Alto al posto del Grassone. Il colloquio tra i due si svolge ancora nell'androne di una casa, l'Alto si commuove, filosoficamente s'intende, i due si abbracciano, filosoficamente s'intende, sdraiati sugli scalini, quindi escono, non senza che il baciapile provveda a intervenire sull'estetica stellare della volta celeste. L'Alto ha un impegno, deve andare ad un ricevimento, il baciapile lo accompagna fino al portone. Si salutano, infine, mentre il baciapile rimprovera all'Alto maniere un po' troppo spicce. 
Così la versione B termina sulla soglia di un ricevimento, quando proprio dall'interno di un ricevimento era iniziata la schermaglia tra l'Alto e il Basso. Non sappiamo se si tratti dello stesso ricevimento. In tal caso il racconto, nella stesura B, avrebbe un che di escheriano*.


Concludiamo la nostra fatica dichiarando che ciò che abbiamo dato qui è un riassunto, com'è naturale piuttosto tendenzioso. Avvisiamo tuttavia l'eventuale lettore del fatto che, riassunto a  parte, forse il curioso titolo del testo è riferibile a una battaglia di tipo letterario, narrativo, che Kafka sostenne, in questo caso risultando sconfitto.

* Da M.C. Escher, il celebre vertiginoso incisore olandese defunto nel 1972.

Schermaglie kafkiane (5)

(segue). Arrivati sul Laurenziberg l'Alto e il Basso si siedono su una panchina e lo sciupafemmine inizia a lamentarsi del suo innamoramento, dichiarando che si sente imprigionato e che progetta di liquidare l'Annetta dalle mani d'angelo. L'Alto è un po' stupito, ma ancor più si stupisce quando il Basso, in preda a una crisi diremmo di romanticismo isterico (che gli fa accusare l'Alto di insensibilità), si ficca una lama nel braccio. La ferita sanguina, l'Alto non sa che cosa fare, da ultimo i due si avviano, sostenuto il Basso dall'Alto, verso la città, laggiù, anche perché l'alba si avvicina e le cose della vita iniziano ad urgere. E così termina la prima versione di questo lungo racconto giovanile.
(Continua)

lunedì 19 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (4)

(segue)

Il Pregatore è un giovane scontento, alquanto nevrotico, filosofeggiante, narra tra l'altro di aver fatto il buffone al piano durante un ricevimento, di aver poi incontrato un ubriaco, fuori, infatti era stato espulso dal ricevimento, e di averlo intrattenuto in base all'invenzione (sua) che l'ubriaco fosse un nobile proveniente da Parigi smarritosi... Digressione sarcastica su la vita parigina...

Sta parlando il Grassone, che intanto affonda nella corrente e viene trascinato via...L'Alto inizia qui a descrivere sue esperienze percettive che farebbero pensare che abbia assunto LSD, e la diversione termina... Per riprendere con L'Alto e il Basso, i due della contesa, che finalmente sono riusciti ad arrivare al Laurenziberg (v. "schermaglie" 1).

(continua)

martedì 13 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (3)

(segue)

Anche nella versione A (Fassung A) di "Descrizione di una contesa", si legge che il nostro protagonista, l' Alto, continua a creare il paesaggio che sta percorrendo, neanche fosse un Autore, infine si accomoda sul ramo di un albero e inizia a dormire. Successivamente egli scorge in lontananza quattro portatori che sorreggono un baldacchino, sul quale sta seduto un Grassone, rasentando l'acqua di un fiume. Prima di finire travolto dalla corrente, il Grassone, personaggio alquanto extraeuropeo, si direbbe, fa in tempo a intrattenere l'Alto prima con certe sue considerazioni cosmologiche sulla Natura, sulle Montagne e così via, poi il racconto descrive un'esperienza meno elevata del Grassone stesso. Il testo, in altri termini, dopo la diversione extrauropea e cosmologica interna alla diversione fantastico-creativa, e prima surreale, torna alla realtà del mondo cittadino, da cui aveva preso le mosse.
Allora: il Grassone narra (evidentemente ad altissima voce, dato che l'Alto lo osserva da lontano!) di aver frequentato una chiesa, in passato, perché spesso una fanciulla degna di nota vi si recava e a lui piaceva guardarla. Naturalmente qualche volta la fanciulla mancava, e il Grassone ingannava l'attesa lasciando circolare lo sguardo tra i fedeli. 
La sua attenzione viene attirata da un giovane che prega dando spettacolo: la fronte a terra, non gli basta stare in ginocchio, costui si agita. Al Grassone questo Pregatore (Orante, ma meglio sarebbe "baciapile") non piace, è scandalizzato e un giorno blocca l'esibizionista devozionale all'uscita della chiesa. Lo interroga, vuol sapere, ma il Pregatore non risponde subito, anzi trascina il Grassone poco lontano, nell'androne di un edificio, e i due iniziano a parlare. Il Pregatore  non è una persona comune.

(continua)

lunedì 12 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (2)

(segue) 

Il primo brano di "Descrizione di una battaglia", specie nella versione B, costituirebbe un ottimo racconto, con finale strizzatina d'occhio al lettore evoluto, ma l'autore non ha pensato, come ha invece fatto per altri brani del testo, di presentarlo altrove come a sé stante, quindi noi lasciamo le cose come sono. 
Comunque sia, si entra in una dimensione surreale, infatti il narratore, cioè l'Alto, salta sulla schiena del suo conoscente, il Basso, e inizia semplicemente a cavalcarlo, facendolo marciare come fosse un quadrupede. Da passivo che era diviene attivo. Inizia un vero "trip". Siamo nella versione A, ma nella B cambia poco. C'è dell'altro: l'Alto crea il paesaggio nel quale s'infila in groppa al Basso. Non siamo mica più a Praga di notte vicino al Ponte Carlo, una delle cui statue attirava l'attenzione del Basso in merito all'angelicità d'una sua mano che gli riportava alla memoria la mano dell'Annetta. Per niente. Siamo ora in una terra incognita creata esplicitamente dall'Alto, che presto abbandona la sua cavalcatura ed avanza a piedi.

(continua)

mercoledì 7 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (1)

Opera giovanile di Kafka, "Descrizione di una battaglia" (o di una contesa, o lotta, se volete: io direi "schermaglie"), ha due stesure diverse, la A e la B. Esse hanno in comune, a parte molte piccole varianti che c'interessano fino ad un certo punto (quello dove inizia la filologia), l'inizio. 
Il narratore incontra un giovane, diremmo coetaneo, durante una serata borghese, a un ricevimento; il tizio, che nelle due versioni è denominato come "conoscente", mai come "amico", confida al narratore di aver trascorso momenti assai piacevoli insieme ad una fanciulla, Annetta, in una stanza della casa dove si sta svolgendo il ricevimento. Il narratore è sorpreso di tale imprevista confidenza, i due iniziano a parlare a voce alta; ciò attira la curiosità di alcuni degli invitati, e il narratore si toglie dall'impaccio fingendo di accettare una proposta del conoscente, strana, ma "decente"com'è uscire per una passeggiata rinfrescante fino al Laurenziberg, dato che fuori ha iniziato a nevicare.
Da una parte il narratore, che da solo gusterebbe dei pasticcini e sorseggerebbe un liquore, tutto qui, dall'altra l'espansivo conoscente, che si è dato un certo daffare prima con l'Annetta, se non anche con una cameriera che accompagna i due fino alla porta d'uscita della casa. 
Il narratore è assai alto, l'altro è piccolino, ciò ci serve a distinguerli nella notte praghese e nelle loro schermaglie. Sono fuori, in strada, l'Alto medita di liberarsi del Basso senza troppi indugi, ma qualcosa lo trattiene dall'andare a casa - nella sua solitudine abituale. Il Basso è un bel tipo, del resto al Basso l'espediente mondano dell'Alto forse è piaciuto, insomma: un poco sono già legati. Camminano, arrivano al parapetto del lungofiume, tacciono, l'Alto aspetta che il Basso gli racconti tutta la sua avventura amorosa, ma il Basso sembra preso dai suoi pensieri, al massimo canticchia. A un tratto dice all'Alto, che ora cammina curvo allo scopo di non offenderlo con la sua altezza: "lei è comico", ciò che attira l'attenzione dell'Alto, tutto scombussolato per essersi conquistato un'etichetta così, meglio che nulla,  senza aver fatto alcuna fatica; adesso vorrebbe sentirne ancora, ma prima s'immagina che il Basso l'indomani parli di lui, l'Alto, con l'Annetta, che lo descriva strano come lui si sente, e brutto, pieno di forfora appiccicata al cappotto*, ma esce da tale fantasticheria con la paura di essere aggredito proprio dal Basso, infine stacca la corsa, scappa, ma inciampa e cade, siamo nei pressi del Ponte Carlo.
Dolorante, a terra, medita di restare disteso fino all'alba, poi vede il Basso arrivare, infine conclude così: "Senta, mi racconti la sua storia, ma non a pezzetti, tutta intera, ho una voglia matta di sentirla, ma intera, non a spizzico. Sarò una tomba".

Qui finisce la prima parte nella versione B, poco diversa dalla A, salvo per quest'ottima raccomandazione, da ingenuo, o da furbacchione? Come se fosse semplice narrare tutto per filo e per segno! Da qui in poi il testo parte, diventa strano, esce dalla realtà. 

Ciò indusse chi scrive, un anno fa, a passare alla versione A, per vedere se anche in questa ci fosse l'uscita dalla realtà, o no. Sì, anche nella A si vaneggia.

("Descrizione di una battaglia" è leggibile nelle Opere (Mondadori), o in "K era un gran prestigiatore" (mia traduzione postata in Scribd). 

* Ci permettiamo di osare l'ipotesi che il traduttore mondadoriano non abbia colto questo dettaglio.

(continua)

lunedì 5 agosto 2013

Il ping pong dello scapolo...

Un racconto da leggere o rileggere è "Blumfeld, uno scapolo anzianotto". 
Blumfed torna una sera nella sua triste stanza da solo, senza neppure un cane che gli faccia compagnia, e trova due palline bianche - che noi potremmo dire da ping pong - danzanti e rimbalzanti. Si tratta di un fenomeno sovrannaturale che confonde il misero Blumfeld; passa la notte in qualche modo, angosciato dalle due vivacissime sfere, la mattina dopo tenta di regalare questo giochino prodigioso e ribelle al figlio scemo della portiera, tale Alfred, e scappa letteralmente in ufficio. Qui ritrova la sua scomoda condizione di impiegato cui il capo ha dato due praticanti indisciplinati e buffoneschi come aiuto. In realtà i due lo fanno impazzire. Si capisce che la faccenda delle due sfere magiche è da mettere in rapporto con quella dei due praticanti fannulloni. L'una illustra l'altra.

"Blumfeld" si legge nella traduzione a cura di E. Pocar nel volume delle Opere di Kafka (Mondadori), o, a cura nostra, in "Descrizione di un duello ed altri racconti", pubblicato da Scribd.

Il racconto può essere descritto in cinque momenti: quello della recriminazione di Blumfeld sul cane mancante, quello della scoperta delle palline, quello della lotta tra Blumfeld e le medesime, quello della trattativa di Blumfed con Alfred per "donargli" il gioco, quello infine dei due praticanti. Oppure in due momenti, quello che inizia con la salita di Blumfeld in casa e termina con il suo ingresso in ufficio, e quello in cui entrano in scena i due praticanti, fino in fondo.
Il momento della recriminazione di Blumfeld sul cane mancante è un regalo extra al lettore: si vorrebbe un cane da compagnia, se ne elencano i vantaggi, ma se ne temono i fastidi immediati e prossimi, s'immagina il cane vecchio e bisognoso di cure, per concludere che no, è meglio stare senza cane. 
Non privo di comicità neppure il momento della lotta tra Blumfeld e le palline o sferette che dir si voglia, dotate di una loro personalità. Fastidioso, più che comico, il momento della trattativa di Blumfeld con Alfred, che non capisce perché gli si vogliano regalare le palline. Giustamente sospetta. Eccellenti personaggi i due praticanti, da mettere in rapporto agli aiutanti dell'agrimensore ne "Il castello". Due deficienti dotati di qualità clownesche.

N.B. Il lettore italiano è certo tentato di prendere queste "due palle" per qualcos'altro, ma sarebbe una forzatura impropria - ai danni della lingua tedesca.

Su "Il maestro di scuola di paese" di F.Kafka

Un anziano maestro di scuola di paese pubblica un breve testo sull’avvistamento di una gigantesca talpa. L’evento “talpa gigante” e le voci relative richiamano sul luogo dell’avvistamento non pochi curiosi, ed attirano l’attenzione di un giovane commerciante della vicina città. In quale parte del mondo ci si trovi, non sappiamo. Si parla di carrozze, di ferrovia, di società scientifiche, di associazioni di maestri, di un periodico di economia agraria.
Ne Il maestro di scuola di paese, scritto da Franz Kafka nel 1915, ha la parola il commerciante di città, che narra di aver pubblicato a sua volta un testo in merito alla fondatezza dell’avvistamento della talpa, e di aver tentato senza successo di diffonderlo.
Il racconto di Kafka coincide dunque con il racconto in prima persona del commerciante, mentre i due testi diciamo scientifici pubblicati prima dal maestro, poi dal commerciante, restano più o meno ignoti al lettore. Lo scritto del maestro sappiamo che s’intitola “Una talpa tanto grossa come ancora nessuno l’ha vista”.
Della talpa si dice poco e nulla, poco dei testimoni, mentre un certo spazio viene dato all’immagine della scienza che il commerciante, evidentemente avveduto, propone. Egli narra soprattutto del suo difficile rapporto con l’anziano maestro.
Mentre il maestro crede che sia esistita la gigantesca talpa (di un paio di metri), e consacra la sua vita a tale fede, il commerciante è più interessato a difendere il maestro dal ridicolo che quella fede in definitiva gli ha tirato addosso, che non alla talpa. Il commerciante, che si dichiara non zoologo, riascolta i testimoni dell’avvistamento, in certo modo rifà l’indagine del maestro, pur senza averne letto, deliberatamente, il testo. Sono due dilettanti, entrambi esterni al mondo della scienza: il maestro è uno scienziato ingenuo, il commerciante è un epistemologo free lance; il maestro s’impegna con la cosa, il commerciante con la procedura del maestro, e, nel suo racconto, tratta soprattutto del suo rapporto con il maestro, lui un giovane, l’altro un anziano, lui dotato di cultura, l’altro solo di fede.
Il racconto di Kafka non è intitolato, ad effetto, “La talpa gigante”, ma Il maestro di scuola di paese. Non che l’autore de La trasformazione (“Metamorfosi”, se si è affezionati al più famoso titolo in italiano di Kafka) sia riluttante davanti agli animali immaginari, anzi. Qui tuttavia sembra prenderne le distanze, occupandosi d’altro immaginario, nel dettaglio dell’intrigo dei rapporti tra il commerciante e il maestro, tra il campagnolo e il cittadino, tra il giovane e l’anziano, tra lo scopritore e il critico, tra chi ha denaro e chi non ne ha, tra chi è arrivato prima e chi è venuto dopo. Tra “la verità” (a cura del maestro) e “la credibilità” (a cura del commerciante).
Commentare questo racconto in merito all’intrigo relazionale tra i due protagonisti ed a quello personale psicologico del commerciante, aggiungerebbe,ai due, un terzo personaggio, quello del lettore odierno, dunque il racconto di Kafka è una trappola, come la faccenda della talpa è una trappola per il maestro e, dopo, per il commerciante. La eviteremo, lasciando ad altri il “piacere” di leggere, per esempio nella traduzione di Anita Rho, se non in tedesco, “La talpa gigante”, ne Il messaggio dell’imperatore, Torino 1958. Se non nell'edizione a cura di Ervino Pocar, Tutti i racconti, Milano 1970.
Il commerciante cerca di promuovere il suo scritto “scientifico”: un periodico di economia agraria gli dedica una noterella ironica stampata a caratteri piccoli in una delle ultime sue pagine; si capisce che i responsabili del periodico, nella fretta liquidatoria, han creduto di trovarsi di nuovo davanti al testo del maestro. La confusione che i responsabili fanno tra i due scritti non è interessante perché indica che non si è letto, da parte dei responsabili del periodico, né il primo né il secondo scritto, ma perché suggerisce che il maestro, ingenuo scienziato dilettante, ha dato luogo, con il suo scritto ad un campo che ingloba ogni commento.
Non se ne esce, così come il commerciante non riesce ad indurre il maestro ad andarsene da casa sua, da ultimo: si è piazzato a sedere, fuma la sua pipa puzzolente e sembra che non se vada proprio più, il testardo vecchietto.

In quanti, a volte, crediamo nell’esistenza di “talpe giganti”?







mercoledì 31 luglio 2013

Uno spunto su "Il processo" di F.Kafka.

Su La Repubblica di oggi 31 luglio 2013 si legge un articolo in merito alla fama di Kafka in quanto personaggio - che non c'interessa. Invece è notevole l'accenno ad una interpretazione de Il processo in chiave biomedica: per cui i tre visitatori che danno inizio alla persecuzione del protagonista sarebbero i "tre sbocchi di sangue" (emottisi) inauguranti la malattia di Kafka. 

Non pochi sogni possono essere interpretati secondo tale chiave biomedica.

sabato 9 febbraio 2013

Descrizione di un duello. Avviso ai naviganti

Chi è interessato a queste traduzioni può rivolgersi all' indirizzo

http://www.scribd.com/doc/124353799/ 

Franz Kafka Racconti

per leggere l'intera serie. A prezzo politico. 


lunedì 14 gennaio 2013

F.Kafka:La finestra sulla strada


Chi vive in solitudine, e nonostante ciò di tanto in tanto vorrebbe accompagnarsi non sappiamo dove con gli altri, chi, tenendo conto dei cambiamenti dell’orario, del tempo, dei rapporti di lavoro e simili, desidera senz’altro vedere un qualsiasi braccio al quale potrebbe tenersi, - costui, senza una finestra sulla via, non ce la farà a lungo. A lui succede di non cercare quasi niente, e soltanto come un uomo che non ne può più, gli occhi vaganti tra il pubblico ed il cielo, va al davanzale della sua finestra, e senza volere ha voltato un po’ la testa, così che in basso il cavallo, cui segue carrozza fracassona, lo entusiasma, e per tal mezzo da ultimo anche l’umana armonia.



mercoledì 9 gennaio 2013

F.Kafka: Escursione in montagna


Non so”, gridavo senza emettere alcun suono, “davvero non so. Se nessuno viene, allora viene proprio nessuno. Non ho fatto niente di male a nessuno, nessuno ne ha fatto a me, ma di darmi una mano nessuno ha voglia. Proprio nessuno. Tuttavia non va esattamente in questo modo. E’ che nessuno mi dà una mano – altrimenti sarebbe un vero nessuno gentile. Farei molto volentieri – perché no? – un’escursione in compagnia di effettivi nessuno*. Naturalmente in montagna, sennò dove? Come si stringono tra sé, questi nessuno, tutte queste braccia aperte e intrecciate, tutti questi piedi distanti tra loro da pochi passi! Tutti in frac, si capisce. Non va male, il vento passa attraverso i vuoti che noi e le nostre membra lasciamo aperti. In montagna si liberano le gole, manca poco che noi cantiamo”.

* Si ricorda Ulisse alle prese con Polifemo.