lunedì 19 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (4)

(segue)

Il Pregatore è un giovane scontento, alquanto nevrotico, filosofeggiante, narra tra l'altro di aver fatto il buffone al piano durante un ricevimento, di aver poi incontrato un ubriaco, fuori, infatti era stato espulso dal ricevimento, e di averlo intrattenuto in base all'invenzione (sua) che l'ubriaco fosse un nobile proveniente da Parigi smarritosi... Digressione sarcastica su la vita parigina...

Sta parlando il Grassone, che intanto affonda nella corrente e viene trascinato via...L'Alto inizia qui a descrivere sue esperienze percettive che farebbero pensare che abbia assunto LSD, e la diversione termina... Per riprendere con L'Alto e il Basso, i due della contesa, che finalmente sono riusciti ad arrivare al Laurenziberg (v. "schermaglie" 1).

(continua)

martedì 13 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (3)

(segue)

Anche nella versione A (Fassung A) di "Descrizione di una contesa", si legge che il nostro protagonista, l' Alto, continua a creare il paesaggio che sta percorrendo, neanche fosse un Autore, infine si accomoda sul ramo di un albero e inizia a dormire. Successivamente egli scorge in lontananza quattro portatori che sorreggono un baldacchino, sul quale sta seduto un Grassone, rasentando l'acqua di un fiume. Prima di finire travolto dalla corrente, il Grassone, personaggio alquanto extraeuropeo, si direbbe, fa in tempo a intrattenere l'Alto prima con certe sue considerazioni cosmologiche sulla Natura, sulle Montagne e così via, poi il racconto descrive un'esperienza meno elevata del Grassone stesso. Il testo, in altri termini, dopo la diversione extrauropea e cosmologica interna alla diversione fantastico-creativa, e prima surreale, torna alla realtà del mondo cittadino, da cui aveva preso le mosse.
Allora: il Grassone narra (evidentemente ad altissima voce, dato che l'Alto lo osserva da lontano!) di aver frequentato una chiesa, in passato, perché spesso una fanciulla degna di nota vi si recava e a lui piaceva guardarla. Naturalmente qualche volta la fanciulla mancava, e il Grassone ingannava l'attesa lasciando circolare lo sguardo tra i fedeli. 
La sua attenzione viene attirata da un giovane che prega dando spettacolo: la fronte a terra, non gli basta stare in ginocchio, costui si agita. Al Grassone questo Pregatore (Orante, ma meglio sarebbe "baciapile") non piace, è scandalizzato e un giorno blocca l'esibizionista devozionale all'uscita della chiesa. Lo interroga, vuol sapere, ma il Pregatore non risponde subito, anzi trascina il Grassone poco lontano, nell'androne di un edificio, e i due iniziano a parlare. Il Pregatore  non è una persona comune.

(continua)

lunedì 12 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (2)

(segue) 

Il primo brano di "Descrizione di una battaglia", specie nella versione B, costituirebbe un ottimo racconto, con finale strizzatina d'occhio al lettore evoluto, ma l'autore non ha pensato, come ha invece fatto per altri brani del testo, di presentarlo altrove come a sé stante, quindi noi lasciamo le cose come sono. 
Comunque sia, si entra in una dimensione surreale, infatti il narratore, cioè l'Alto, salta sulla schiena del suo conoscente, il Basso, e inizia semplicemente a cavalcarlo, facendolo marciare come fosse un quadrupede. Da passivo che era diviene attivo. Inizia un vero "trip". Siamo nella versione A, ma nella B cambia poco. C'è dell'altro: l'Alto crea il paesaggio nel quale s'infila in groppa al Basso. Non siamo mica più a Praga di notte vicino al Ponte Carlo, una delle cui statue attirava l'attenzione del Basso in merito all'angelicità d'una sua mano che gli riportava alla memoria la mano dell'Annetta. Per niente. Siamo ora in una terra incognita creata esplicitamente dall'Alto, che presto abbandona la sua cavalcatura ed avanza a piedi.

(continua)

mercoledì 7 agosto 2013

Schermaglie kafkiane (1)

Opera giovanile di Kafka, "Descrizione di una battaglia" (o di una contesa, o lotta, se volete: io direi "schermaglie"), ha due stesure diverse, la A e la B. Esse hanno in comune, a parte molte piccole varianti che c'interessano fino ad un certo punto (quello dove inizia la filologia), l'inizio. 
Il narratore incontra un giovane, diremmo coetaneo, durante una serata borghese, a un ricevimento; il tizio, che nelle due versioni è denominato come "conoscente", mai come "amico", confida al narratore di aver trascorso momenti assai piacevoli insieme ad una fanciulla, Annetta, in una stanza della casa dove si sta svolgendo il ricevimento. Il narratore è sorpreso di tale imprevista confidenza, i due iniziano a parlare a voce alta; ciò attira la curiosità di alcuni degli invitati, e il narratore si toglie dall'impaccio fingendo di accettare una proposta del conoscente, strana, ma "decente"com'è uscire per una passeggiata rinfrescante fino al Laurenziberg, dato che fuori ha iniziato a nevicare.
Da una parte il narratore, che da solo gusterebbe dei pasticcini e sorseggerebbe un liquore, tutto qui, dall'altra l'espansivo conoscente, che si è dato un certo daffare prima con l'Annetta, se non anche con una cameriera che accompagna i due fino alla porta d'uscita della casa. 
Il narratore è assai alto, l'altro è piccolino, ciò ci serve a distinguerli nella notte praghese e nelle loro schermaglie. Sono fuori, in strada, l'Alto medita di liberarsi del Basso senza troppi indugi, ma qualcosa lo trattiene dall'andare a casa - nella sua solitudine abituale. Il Basso è un bel tipo, del resto al Basso l'espediente mondano dell'Alto forse è piaciuto, insomma: un poco sono già legati. Camminano, arrivano al parapetto del lungofiume, tacciono, l'Alto aspetta che il Basso gli racconti tutta la sua avventura amorosa, ma il Basso sembra preso dai suoi pensieri, al massimo canticchia. A un tratto dice all'Alto, che ora cammina curvo allo scopo di non offenderlo con la sua altezza: "lei è comico", ciò che attira l'attenzione dell'Alto, tutto scombussolato per essersi conquistato un'etichetta così, meglio che nulla,  senza aver fatto alcuna fatica; adesso vorrebbe sentirne ancora, ma prima s'immagina che il Basso l'indomani parli di lui, l'Alto, con l'Annetta, che lo descriva strano come lui si sente, e brutto, pieno di forfora appiccicata al cappotto*, ma esce da tale fantasticheria con la paura di essere aggredito proprio dal Basso, infine stacca la corsa, scappa, ma inciampa e cade, siamo nei pressi del Ponte Carlo.
Dolorante, a terra, medita di restare disteso fino all'alba, poi vede il Basso arrivare, infine conclude così: "Senta, mi racconti la sua storia, ma non a pezzetti, tutta intera, ho una voglia matta di sentirla, ma intera, non a spizzico. Sarò una tomba".

Qui finisce la prima parte nella versione B, poco diversa dalla A, salvo per quest'ottima raccomandazione, da ingenuo, o da furbacchione? Come se fosse semplice narrare tutto per filo e per segno! Da qui in poi il testo parte, diventa strano, esce dalla realtà. 

Ciò indusse chi scrive, un anno fa, a passare alla versione A, per vedere se anche in questa ci fosse l'uscita dalla realtà, o no. Sì, anche nella A si vaneggia.

("Descrizione di una battaglia" è leggibile nelle Opere (Mondadori), o in "K era un gran prestigiatore" (mia traduzione postata in Scribd). 

* Ci permettiamo di osare l'ipotesi che il traduttore mondadoriano non abbia colto questo dettaglio.

(continua)

lunedì 5 agosto 2013

Il ping pong dello scapolo...

Un racconto da leggere o rileggere è "Blumfeld, uno scapolo anzianotto". 
Blumfed torna una sera nella sua triste stanza da solo, senza neppure un cane che gli faccia compagnia, e trova due palline bianche - che noi potremmo dire da ping pong - danzanti e rimbalzanti. Si tratta di un fenomeno sovrannaturale che confonde il misero Blumfeld; passa la notte in qualche modo, angosciato dalle due vivacissime sfere, la mattina dopo tenta di regalare questo giochino prodigioso e ribelle al figlio scemo della portiera, tale Alfred, e scappa letteralmente in ufficio. Qui ritrova la sua scomoda condizione di impiegato cui il capo ha dato due praticanti indisciplinati e buffoneschi come aiuto. In realtà i due lo fanno impazzire. Si capisce che la faccenda delle due sfere magiche è da mettere in rapporto con quella dei due praticanti fannulloni. L'una illustra l'altra.

"Blumfeld" si legge nella traduzione a cura di E. Pocar nel volume delle Opere di Kafka (Mondadori), o, a cura nostra, in "Descrizione di un duello ed altri racconti", pubblicato da Scribd.

Il racconto può essere descritto in cinque momenti: quello della recriminazione di Blumfeld sul cane mancante, quello della scoperta delle palline, quello della lotta tra Blumfeld e le medesime, quello della trattativa di Blumfed con Alfred per "donargli" il gioco, quello infine dei due praticanti. Oppure in due momenti, quello che inizia con la salita di Blumfeld in casa e termina con il suo ingresso in ufficio, e quello in cui entrano in scena i due praticanti, fino in fondo.
Il momento della recriminazione di Blumfeld sul cane mancante è un regalo extra al lettore: si vorrebbe un cane da compagnia, se ne elencano i vantaggi, ma se ne temono i fastidi immediati e prossimi, s'immagina il cane vecchio e bisognoso di cure, per concludere che no, è meglio stare senza cane. 
Non privo di comicità neppure il momento della lotta tra Blumfeld e le palline o sferette che dir si voglia, dotate di una loro personalità. Fastidioso, più che comico, il momento della trattativa di Blumfeld con Alfred, che non capisce perché gli si vogliano regalare le palline. Giustamente sospetta. Eccellenti personaggi i due praticanti, da mettere in rapporto agli aiutanti dell'agrimensore ne "Il castello". Due deficienti dotati di qualità clownesche.

N.B. Il lettore italiano è certo tentato di prendere queste "due palle" per qualcos'altro, ma sarebbe una forzatura impropria - ai danni della lingua tedesca.

Su "Il maestro di scuola di paese" di F.Kafka

Un anziano maestro di scuola di paese pubblica un breve testo sull’avvistamento di una gigantesca talpa. L’evento “talpa gigante” e le voci relative richiamano sul luogo dell’avvistamento non pochi curiosi, ed attirano l’attenzione di un giovane commerciante della vicina città. In quale parte del mondo ci si trovi, non sappiamo. Si parla di carrozze, di ferrovia, di società scientifiche, di associazioni di maestri, di un periodico di economia agraria.
Ne Il maestro di scuola di paese, scritto da Franz Kafka nel 1915, ha la parola il commerciante di città, che narra di aver pubblicato a sua volta un testo in merito alla fondatezza dell’avvistamento della talpa, e di aver tentato senza successo di diffonderlo.
Il racconto di Kafka coincide dunque con il racconto in prima persona del commerciante, mentre i due testi diciamo scientifici pubblicati prima dal maestro, poi dal commerciante, restano più o meno ignoti al lettore. Lo scritto del maestro sappiamo che s’intitola “Una talpa tanto grossa come ancora nessuno l’ha vista”.
Della talpa si dice poco e nulla, poco dei testimoni, mentre un certo spazio viene dato all’immagine della scienza che il commerciante, evidentemente avveduto, propone. Egli narra soprattutto del suo difficile rapporto con l’anziano maestro.
Mentre il maestro crede che sia esistita la gigantesca talpa (di un paio di metri), e consacra la sua vita a tale fede, il commerciante è più interessato a difendere il maestro dal ridicolo che quella fede in definitiva gli ha tirato addosso, che non alla talpa. Il commerciante, che si dichiara non zoologo, riascolta i testimoni dell’avvistamento, in certo modo rifà l’indagine del maestro, pur senza averne letto, deliberatamente, il testo. Sono due dilettanti, entrambi esterni al mondo della scienza: il maestro è uno scienziato ingenuo, il commerciante è un epistemologo free lance; il maestro s’impegna con la cosa, il commerciante con la procedura del maestro, e, nel suo racconto, tratta soprattutto del suo rapporto con il maestro, lui un giovane, l’altro un anziano, lui dotato di cultura, l’altro solo di fede.
Il racconto di Kafka non è intitolato, ad effetto, “La talpa gigante”, ma Il maestro di scuola di paese. Non che l’autore de La trasformazione (“Metamorfosi”, se si è affezionati al più famoso titolo in italiano di Kafka) sia riluttante davanti agli animali immaginari, anzi. Qui tuttavia sembra prenderne le distanze, occupandosi d’altro immaginario, nel dettaglio dell’intrigo dei rapporti tra il commerciante e il maestro, tra il campagnolo e il cittadino, tra il giovane e l’anziano, tra lo scopritore e il critico, tra chi ha denaro e chi non ne ha, tra chi è arrivato prima e chi è venuto dopo. Tra “la verità” (a cura del maestro) e “la credibilità” (a cura del commerciante).
Commentare questo racconto in merito all’intrigo relazionale tra i due protagonisti ed a quello personale psicologico del commerciante, aggiungerebbe,ai due, un terzo personaggio, quello del lettore odierno, dunque il racconto di Kafka è una trappola, come la faccenda della talpa è una trappola per il maestro e, dopo, per il commerciante. La eviteremo, lasciando ad altri il “piacere” di leggere, per esempio nella traduzione di Anita Rho, se non in tedesco, “La talpa gigante”, ne Il messaggio dell’imperatore, Torino 1958. Se non nell'edizione a cura di Ervino Pocar, Tutti i racconti, Milano 1970.
Il commerciante cerca di promuovere il suo scritto “scientifico”: un periodico di economia agraria gli dedica una noterella ironica stampata a caratteri piccoli in una delle ultime sue pagine; si capisce che i responsabili del periodico, nella fretta liquidatoria, han creduto di trovarsi di nuovo davanti al testo del maestro. La confusione che i responsabili fanno tra i due scritti non è interessante perché indica che non si è letto, da parte dei responsabili del periodico, né il primo né il secondo scritto, ma perché suggerisce che il maestro, ingenuo scienziato dilettante, ha dato luogo, con il suo scritto ad un campo che ingloba ogni commento.
Non se ne esce, così come il commerciante non riesce ad indurre il maestro ad andarsene da casa sua, da ultimo: si è piazzato a sedere, fuma la sua pipa puzzolente e sembra che non se vada proprio più, il testardo vecchietto.

In quanti, a volte, crediamo nell’esistenza di “talpe giganti”?