In questa fine di marzo 2014 su Repubblica abbiamo letto un testo del giurista Cassese in merito a "Il processo", tradotto in italiano tra gli altri da Primo Levi (Einaudi). Questo romanzo, insolitamente compiuto, può ben attirare l'attenzione specialistica di un giurista, in quanto racconta di un imputato che si sbatte invano tra tribunale ed avvocati senza capire di che cosa è accusato. La competenza specifica è utile, sempre, ma deve essere sostenuta dalla competenza aspecifica, altrimenti c'è il rischio di non vedere il panorama mentre si osserva il singolo villaggio.
Il testo di Cassese è tagliato, qua e là, quindi non sappiamo se nell'originale il passaggio dalla dimensione narrativa (il romanzo) a quella biografica (lettere, diari, informazioni sulla vita professionale di Kafka) è più sapiente di quanto ci appare nella versione diffusa da Repubblica.
Il Cassese sostiene sulla base delle accennate informazioni che Kafka era "una brava persona" ed aveva a cuore i poveri, eccetera. Quindi non meritava né il processo né la condanna.
Siamo lieti di apprendere che Kafka era "una brava persona", ma di brave persone in fondo ce ne sono un certo numero, mentre di persone brave a scrivere "Il processo" ce n'è una sola.
Mai mescolare. Tuttavia anche il grande Elias Canetti cade in questo errore all'incirca imperdonabile - con la costruzione che propone ne "L'altro processo": essere quello del romanzo ombra del "processo" patito da Franz a causa della rottura del fidanzamento con Felice Bauer.
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