martedì 16 agosto 2016

La colonia penale kafkiana

Traducendo "Nella colonia penale", il famoso racconto di Kafka, che non leggevo da decenni e di cui com'è naturale ricordavo solo la macchina che serve per incidere sulla schiena dei condannati la sentenza, oggetto narrativo di grande interesse tecnico o fantatecnico, ho messo a fuoco che la vicenda si svolge in zona tropicale, in un'isola, e che il Paese da cui la colonia penale dipende è caratterizzato dalla poligamia maschile, infatti si insiste in più luoghi sulle Damen che circondano il comandante della colonia, in un caso chiamandole Frauen. Mogli. Il cerchio si stringe con l'accenno alla ciotola di riso che il condannato alla tortura di cui sopra (mortale) ha a disposizione. Direi che la colonia penale fa parte della Cina kafkiana

Uno studioso degli usi e costumi del vasto mondo (etnologo, antropologo culturale, direi) si reca in visita in una colonia penale dove gli si mostra una complessa macchina, o apparato, che semplicemente punisce (nel caso in esame si tratta di un attendente che si è ribellato al suo superiore) il reo, ignaro della condanna e del tutto passivo rispetto all'accusa (das ist Kafka!) torturandolo con la incisione tramite aghi sulla sua schiena della sentenza. Tutto macchinico, elettricamente mosso e avveniristico - si pensa alle oggi antiche "schede perforate". La tortura, che permette al condannato di arrivare nel corso di dodici ora di incisione a conoscere la sentenza in modo sensoriale, nella carne, termina con la morte. L'ufficiale che illustra (Erklaerung) allo studioso l'apparato, ne è un fanatico, in ciò assolutamente minoritario, infatti la nuova dirigenza della colonia penale è contraria al metodo e lo boicotta. Anche lo studioso è un oppositore della tortura, ma è quasi soggiogato dalla eloquenza appassionata e folle dell'ufficiale conservatore, e lo lascia parlare. Quando il conservatore si accorge che dallo studioso non otterrà appoggi a favore dell'apparato e si rende conto di essersi fatto delle illusioni assurde su di lui, libera il condannato, si denuda e mette se stesso alla tortura; la macchina inizia a operare, ma si rompe, va in pezzi, e l'ufficiale muore trafitto dagli aghi che servono alla incisione sul corpo della sentenza. Essa dice: "Sii giusto!" Sei Recht!
Lo studioso, insieme al condannato scampato e al soldato di guardia, una coppia che da ultimo diviene buffa ricordandoci gli aiutanti dell'agrimensore in Das Schloss (Il castello), lascia il luogo dell'apparato e fa ritorno nella colonia: prende la prima nave e se ne va. 
Tristi tragicomici tropici! Ottimo racconto.

(Ora, non so se esistano o siano esistite pratiche "penali" e di tortura analoghe a quella immaginata da Kafka; non posso però evitare di attribuirne la genesi alla mente di Kafka
Altro: salta agli occhi la finezza "empatica" della rappresentazione del protagonista del racconto, l'ufficiale fedele alla pratica creata dal defunto comandante della colonia penale, ormai un "esule in patria", direi, uno straniero tra i suoi. Un sopravvissuto!
La posizione della pietra tombale del comandante inventore della macchina da tortura, infine, nascosta sotto un tavolo della lurida casa del té, è una meravigliosa beffa kafkiana che ha dell'onirico.) 

(Marzo 2020) La traduzione è postata nella mia sezione del sito Scribd - con il titolo "Nella colonia penale").

Nessun commento:

Posta un commento