lunedì 26 novembre 2012

F.Kafka: Favoletta.


Ah!”, diceva il topo, “il mondo diventa ogni 

giorno più stretto. Prima era così largo da far 

paura, correvo in giro ed ero contento di 

vedere lontano all’infinito, a destra e a 

sinistra, ma questi lunghi muri incombono 

così rapidamente uno davanti all’altro che io 

mi trovo appunto nell’ultima stanza, e lì in un 

angolo c’è la trappola dentro cui corro.” “Hai 

solo da cambiare la direzione della corsa”, 

disse il gatto, e lo divorò.






lunedì 19 novembre 2012

F.Kafka: Convivenza


Siamo cinque amici usciti da una casa uno dopo l’altro. Il primo si mise sulla porta, poi, lieve come una sferetta di mercurio, scivolò fino alla porta il secondo, vicino al primo, poi il terzo, il quarto e il quinto. Tutti in fila, infine. La gente ci notava, c’indicava e disse: eccoli i cinque, fuori da casa. Da quando stiamo insieme la vita sarebbe felice, se un sesto non continuasse ad intromettersi. Non è che ci faccia qualcosa di male, ma è spiacevole, e tanto basta, infatti lui si intromette dove non si vuole che stia. Noi non possiamo e non vogliamo accoglierlo. E’ vero che noi cinque insieme neanche prima abbiamo potuto starci, e , se si vuole, neppure ora, ma ciò che per noi cinque è possibile e sopportabile non lo è con quel sesto. Siamo cinque e non vogliamo essere sei, tutto qui. E quel che può avere più senso per uno, in questa continua convivenza, veramente presso di noi cinque insieme non ne ha affatto, ma in definitiva noi siamo già insieme e ci restiamo, e non vogliamo una convivenza nuova, ad imporlo è la nostra esperienza. E significherebbe già quasi una sorta di accettazione nel nostro circolo, dilungarsi in chiarimenti allo scopo di far capire tutto quanto al sesto, meglio non spiegare nulla, e non accoglierlo. Faccia pure la bocca storta quanto vuole, noi gli diamo una gomitata. Eppure, nonostante che si continui a scacciarlo, lui ritorna sempre.



lunedì 12 novembre 2012

F.Kafka: La questione delle leggi


Sfortunatamente le nostre leggi non sono conosciute da tutti, esse sono il segreto del piccolo gruppo di aristocratici che ci governa. Siamo convinti che queste vecchie leggi vengano rispettate, tuttavia esser governati secondo leggi che non si conoscono è molto angoscioso. Non penso, a questo proposito, alle differenti possibilità d’interpretazione ed agli svantaggi che comporta il fatto che solo il singolo, e non tutto il popolo, può partecipare all’interpretazione. Tali svantaggi forse non sono davvero molto grandi. Le leggi sono in fin dei conti così vecchie, centinaia di anni sono serviti alla loro interpretazione, pure quest’interpretazione è divenuta legge, le possibili libertà d'interpretazione certo rimangono sempre, ma sono molto circoscritte. Inoltre l’aristocrazia non ha certamente alcuna ragione di farsi influenzare dal suo proprio interesse a nostro svantaggio per mezzo dell’interpretazione, dato che le leggi, certo, dal loro inizio in poi sono fissate a vantaggio dell’aristocrazia, l’aristocrazia sta fuori dalla legge, e per questo la legge sembra già essere esclusivamente in mano all’aristocrazia. In questo c’è saggezza – chi dubita della saggezza delle vecchie leggi? – per quanto penoso, ciò è necessario.
Del resto quest’apparenza di leggi è solo oggetto di congettura. E’ una tradizione che esse esistano e siano affidate come un segreto all’aristocrazia, ma perché sono antiche, e la loro antichità non è del tutto una tradizione degna di credito, e non può esserlo, poiché la natura di queste leggi esige anche la segretezza della loro esistenza. Per cui, se noi del popolo dai tempi più antichi seguiamo attentamente l’agire dell’aristocrazia, se disponiamo dei commentarii eseguiti dai nostri progenitori e li abbiamo scrupolosamente seguiti, e se pensiamo di riconoscere negli innumerevoli fatti certe linee generali che permettono di concludere su questa o quella determinazione legale, e se noi tentiamo, dopo queste conclusioni scrupolosamente vagliate ed ordinate, di prepararci al presente ed al futuro – ecco, tutto è altamente incerto e forse è soltanto un gioco dell’intelligenza, poiché forse queste leggi che noi tentiamo di indovinare dopotutto non esistono. C’è un piccolo partito che è davvero di quest’opinione e tenta di dimostrare che, se una legge esiste, essa può soltanto recitare: quel che fa l’aristocrazia è legge. Questo partito vede solo atti arbitrari dell’aristocrazia e rifiuta la tradizione popolare, che secondo la sua opinione porta soltanto vantaggi minimi casuali mentre provoca soprattutto grave danno in quanto dà al popolo, di fronte agli eventi futuri, una falsa sicurezza che induce troppo alla noncuranza. Questo danno è innegabile, ma la maggioranza di gran lunga preponderante del nostro popolo ne vede le cause nel fatto che di tradizione ancora non ce n’è assolutamente abbastanza, che dunque ancora molto in essa si deve ricercare, e che la sua materia, per quanto ci sembri colossale, è ancora scarsa, e che devono trascorrere ancora secoli prima che basti. Per il presente l’opacità di questa prospettiva ravviva solo la fede che verrà una buona volta un tempo in cui la tradizione ed il suo studio, per così dire con un sospiro di sollievo, si arresti, tutto sia diventato chiaro, la legge appartenga al popolo e l’aristocrazia scompaia. Questo non è detto con odio verso l’aristocrazia, no davvero e da nessuno, piuttosto noi odiamo noi stessi perché ancora non sappiamo diventare degni della legge. Ecco la ragione per cui quel partito, certo molto allettante, che non crede ad alcuna legge, è rimasto così piccolo: perché anch’esso riconosce in pieno l’aristocrazia e il suo diritto a durare. Ciò si può esprimere in una sorta di contraddizione: un partito che rifiutasse, accanto alla fede nelle leggi, anche l’aristocrazia, avrebbe immediatamente l’intero popolo dietro di sé, ma un simile partito non può formarsi perché nessuno osa rifiutare l’aristocrazia. Noi viviamo sul filo di un coltello simile. Uno scrittore ha una volta riassunto la cosa in questo modo: l’unica evidente indubitabile legge che ci viene imposta è l’aristocrazia, e noi dovremmo volerci privare di quest’unica legge?