venerdì 10 aprile 2020

Franz Kafka: Il processo - 2


Colloqui, con la signora Grubach prima, con la signorina Buerstner poi

In quella primavera K. di solito passava le serate dopo il lavoro – stava in ufficio fino alle 9 – facendo se possibile una passeggiatina da solo o con dei conoscenti, poi andava in una birreria dove abitualmente sedeva fino alle 11 a un tavolo riservato, insieme per lo più ad anziani signori. C'erano però eccezioni a tale orario, quando per esempio K. veniva invitato dal direttore della banca, che ne stimava molto la laboriosità e affidabilità, a fare un giro in auto o a cena nella sua villa. A parte ciò una volta alla settimana K. andava da una signorina di nome Elsa che lavorava di notte e fino alla tarda mattina come cameriera in una mescita di vino, e di giorno accoglieva visite solo stando a letto.
Quella sera però – la giornata era volata tra l'intenso lavoro e i molti auguri rispettosi e affettuosi di compleanno – K. volle andare subito a casa. Durante ogni piccola pausa del lavoro ci aveva pensato; senza avere una chiara opinione, gli pareva che fosse stata, da quel che era accaduto la mattina, causata una gran confusione in tutto l'appartamento della signora Grubach, e che proprio lui servisse a rimettervi ordine. Una volta ripristinato l'ordine, ogni traccia dell'accaduto sarebbe stata cancellata e tutto avrebbe ripreso il suo vecchio andamento. In particolare dai 3 impiegati non c'era niente da temere, erano di nuovo immersi nella burocrazia bancaria, in loro non si notava alcun cambiamento. K. più volte li aveva convocati da soli o in gruppo nel suo ufficio con il solo scopo di osservarli; e sempre aveva potuto congedarli soddisfatto.
Arrivando verso le 9,30 di sera davanti alla casa dove abitava, sul portone incontrò un giovanottino che se ne stava a gambe larghe a fumare la pipa. “Chi siete?”, chiese subito K. avvicinando il viso al giovane, nella penombra dell'atrio non ci si vedeva bene. “Sono il figlio del portinaio, egregio signore”, rispose il giovane, tolse di bocca la pipa e si fece da parte. “Il figlio del portinaio?”, chiese K. colpendo impaziente il suolo con il bastone. “Il signore desidera qualcosa? Devo andare a chiamare il babbo?” “No no”, disse K., c'era nella sua voce un che di scusa, quasi che il giovane avesse fatto qualcosa di male e lui lo perdonasse. “Va bene”, disse poi e proseguì, ma prima di salire le scale si girò ancora una volta.
Avrebbe potuto andare diretto in camera sua, ma poiché voleva parlare con la signora Grubach bussò subito al suo uscio. Era seduta e lavorava a maglia, sul tavolo un mucchio di calze. Generico, K. si scusò di venire così tardi, ma la signora fu molto gentile e non intese alcuna scusa: lui poteva sempre parlarle, lo sapeva molto bene di essere il suo migliore e più caro pensionante. K. si guardò attorno, la stanza non era affatto diversa dal solito, le stoviglie della colazione che la mattina si trovavano presso la finestra non c'erano più. Eh, le mani di una donna sono capaci di far molto e senza chiasso, pensò, le stoviglie lui le avrebbe fatte a pezzi sul posto, sì, ma certo non sarebbe riuscito a portarle via. Guardò la signora con una certa gratitudine. “Perché lavorate ancora così tardi?”, chiese. Ora sedevano entrambi al tavolo, di tanto in tanto K. infilava una mano tra le calze. “C'è molto da fare”, disse lei, “e di giorno sono tutta dei pensionanti; se voglio sistemare le mie cose, mi restano solo le serate.” “Oggi vi ho causato davvero una fatica extra.” “E perché poi?”, chiese lei con più calore, e il lavoro le giacque in grembo. “Mi riferisco agli uomini che stamani erano qui.” “Ah, sì”, disse lei placandosi, “non mi ha causato una fatica extra.” K. in silenzio guardò il lavoro a maglia che riprendeva. Pare meravigliata che io ne parli, pensò, pare che non lo ritenga dovuto. Tanto più è necessario che io lo faccia. Solo con una donna anziana ne posso parlare. “Eppure di certo è stato faticoso”, disse allora, “ma non succederà di nuovo.” “No, non può succedere ancora”, disse lei come per sottolineare, e sorrise a K. quasi con malinconia. “Dite sul serio?”, chiese K. “Sì”, disse lei a bassa voce, “ma prima di tutto non dovete prendervela troppo. Sono cose che capitano! Visto che voi, signor K., mi parlate così in confidenza, posso confessarvi che sono stata un po' ad ascoltare dietro l'uscio e che le due guardie hanno riferito qualcosa anche a me. Si tratta, è certo, della vostra felicità, che davvero mi sta a cuore più di quanto forse mi spetti, dato che resto la vostra affittacamere, unicamente. Dunque, ho udito qualcosa, ma non posso dire che fosse particolarmente negativo. No. Siete certo in arresto, ma non com'è arrestato un ladro. Essere in arresto come un ladro, questo è negativo, ma quest'arresto … Mi pare qualcosa come una lezione, scusate se dico una sciocchezza, mi pare qualcosa che io non capisco di certo, e che però neppure deve esser capito.”
Non è per niente una sciocchezza quel che avete detto, signora Grubach, in parte almeno sono della vostra opinione, solo che do un giudizio complessivo ancora più caustico del vostro, semplicemente non prendo l'accaduto come una lezione, ma come un nulla, proprio. Venni colto di sorpresa, ecco cosa fu. Se fossi stato sveglio, senza farmi ingannare dall'assenza dell'Anna mi sarei subito levato e senza riguardo per chi mi fosse capitato tra i piedi sarei venuto da voi, avrei per una volta fatto un po' di colazione in cucina, vi avrei fatto portare i miei abiti dalla mia stanza, per farla breve se mi fossi comportato in modo razionale non sarebbe accaduto altro, e tutto, fosse quel che fosse, sarebbe stato soffocato. Si è così poco preparati, tuttavia. Alla banca per esempio sono preparato, lì sarebbe impossibile che mi capitasse una cosa simile, ho una persona al mio servizio, lì, il telefono esterno e quello interno stanno davanti a me sul tavolo, continua a venire gente, impiegati e clienti; inoltre e soprattutto lì sono sempre operativo, per cui ci sto con la testa, lì sarebbe addirittura un passatempo per me venir confrontato con una faccenda simile. Ora è passata e in effetti non ne volevo nemmeno parlare, desideravo solo sentire il vostro giudizio, il giudizio di una donna assennata, e sono molto lieto che siamo d'accordo. Però ora dovete porgermi la mano, trovarsi d'accordo così deve venir consolidato da una stretta di mano.”
Me la porgerà la mano? L'ispettore non l'ha fatto, pensò lui guardando la donna che, diversamente da prima, lo scrutava. Lei si levò perché anche lui si era levato, un po' imbarazzata poiché non aveva capito tutto quello che aveva detto K. Conseguentemente a tale imbarazzo disse però qualcosa che non voleva affatto dire e che non c'entrava proprio: “ma non fatela tanto difficile, signor K.”, disse, aveva il pianto nella voce e naturalmente scordò la stretta di mano. “Non sapevo di farla difficile”, disse K. con improvvisa stanchezza, capendo la vanità di tutta l'approvazione di quella donna.
Ancora sulla porta chiese: “la signorina Buerstner è in casa?” “No”, disse la signora Grubach, sorrise di tale informazione ridotta all'osso e ne dette una ragionevolmente più ampia. “E' a teatro. Desiderate qualcosa da lei? Devo dirle qualcosa?” “Oh, volevo solo scambiarci due parole.” “Purtroppo non so quando viene; quando è a teatro di solito torna tardi.” “Va bene lo stesso”, disse K. e inchinava già la testa andando verso la porta, “volevo solo scusarmi con lei per averle occupato la stanza, oggi.” “Non serve, signor K., avete troppi riguardi, la signorina Buersrtner non ne sa proprio nulla, non era a casa già dal primo mattino e tutto è stato rimesso in ordine, vedete voi stesso.” E aprì l'uscio che dava nella stanza della signorina Buerstner. “Grazie, lo credo anch'io”, disse K., però si diresse verso l'uscio aperto. La luna splendeva serena nella stanza buia. Per quanto si poteva vedere tutto era davvero al suo posto, neanche la camicetta stava più appesa alla maniglia della finestra. Faceva spettacolo l'altezza dei cuscini sul letto, in parte illuminati dalla luce della luna. “La signorina Buersrtner torna spesso a casa tardi”, disse K. guardando la signora Grubach come se lei ne avesse la giustificazione. “E' tanto giovane!”, disse a mo' di scusante la signora Grubach. “Certo, certo”, disse K., “però capita di passare i limiti.” “E' vero”, disse la signora Grubach, “come dite bene, signor K. E proprio in questo caso. Non voglio certo denigrare la signorina Buerstner, è una ragazza buona e cara, gentile, ordinata, puntuale, lavoratrice, ciò lo apprezzo molto, ma una cosa è vera, dovrebbe essere più altera, riservata. Questo mese l'ho già vista due volte in strade fuori mano e sempre insieme a un signore diverso. Mi addolora molto, lo racconto, Dio mi è testimone, solo a voi, signor K., ma sarà inevitabile che ne parli anche con la signorina Buersrtner. Del resto non è l'unica cosa che m'insospettisce.” “Siete del tutto fuori strada”, disse K., adirato e quasi incapace di nasconderlo, “del resto avete capito male anche la mia osservazione sulla signorina Buersrtner, non mirava a questo. Vi metto in guardia sinceramente dal dire un qualcosa alla signorina Buersrtner, sbagliate completamente, io la conosco molto bene, non c'è nulla di vero in quel che dicevate. Del resto forse esagero, non ho intenzione di impedirvi di dirle ciò che volete. Buona notte.” “Signor K.”, disse la signora Grubach implorante seguendolo fino alla sua porta, da lui già aperta, “davvero non ho intenzione di parlare con la signorina Buersrtner, è naturale che prima io voglia ancora continuare a studiarla, vi ho solo confidato quel che sapevo. In fin dei conti è necessario conoscere ogni inquilino quando si cerca di mantenere la pensione pulita, non sto mirando a nient'altro.” “Pulizia!” esclamò K. che era ancora sulla porta appena aperta, “se volete mantenere pulita la pensione, per prima cosa dovete mandare via me.” Poi la chiuse senza badare più a un certo leggero bussio.
Decise, dal momento che non aveva nessuna voglia di dormire, di restare sveglio e con ciò di accertarsi di quando sarebbe tornata la signorina Buerstner. Magari avrebbe potuto anche parlarci un po', per quanto sconveniente ciò potesse essere. Stette alla finestra, strinse gli occhi stanchi e per un momento pensò addirittura di castigare la signora Grubach convincendo la signorina Buerstner a lasciare insieme a lui la pensione. Subito però la cosa gli sembrò tremendamente esagerata, stava prendendo ciò che era successo la mattina come scusa per cambiare abitazione, sospettò suo malgrado. Nulla di più insensato e soprattutto di più vano, e di più vile.
Quando fu stufo di star lì a guardare le strade vuote si mise sul canapè dopo aver socchiuso la porta che dava sull'anticamera per poter vedere subito da quella posizione chiunque entrasse in casa. Più o meno fino alle 11 se ne stette tranquillo a fumare una sigaretta. Dopo però ne ebbe abbastanza e andò un po' in anticamera come se con questo potesse affrettare l'arrivo della signorina Buerstner. Non che ne avesse alcun particolare desiderio, non era nemmeno in grado di ricordarsene bene l'aspetto, ma ora voleva parlarci, e lo irritava che lei tardando recasse inquietudine e disordine anche in coda a quella giornata. Aveva anche colpa del fatto che lui non aveva cenato e aveva trascurato di far la progettata visita a Elsa. D'altra parte poteva riparare a entrambe le cose andando ora alla mescita dove lavorava Elsa. Aveva intenzione di farlo più tardi, dopo aver parlato con la signorina Buerstner.
Erano più delle 11 e mezzo quando si udì qualcuno per le scale. K., che abbandonato ai suoi pensieri camminava qua e là rumorosamente nell'anticamera come se quella fosse camera sua, scappò dietro la propria porta. Era la signorina Buerstner, era arrivata. Rabbrividendo di freddo nel chiudere la porta si avvolse le scarne spalle con uno scialle di seta. Tra un momento sarebbe entrata nella sua stanza dove certo K. non poteva permettersi di infilarsi a quell'ora; per cui doveva rivolgerle la parola subito, però sfortunatamente non aveva acceso la luce elettrica in camera sua, per cui farsi avanti dal buio sarebbe sembrato un agguato, come minimo una cosa da far spavento. Non sapendo che fare e in mancanza totale di tempo, sussurrò dalla porta socchiusa: “signorina Buerstner.” Aveva il tono di una preghiera, non di un richiamo. “Chi è?” chiese la signorina facendo tanto d'occhi e guardandosi attorno. “Sono io”, disse K. muovendosi verso di lei. “Oh, signor K.!” disse la signorina Buersrtner sorridendo. “Buona sera”. Gli porse la mano. “Volevo dirvi due parole, me lo concedete ora?” “Subito?” chiese la signorina Buersrtner, “proprio ora? Non è un po' insolito?” “Vi aspetto dalle 9.” “Mah, ero a teatro, non sapevo mica di voi.” “Il motivo per cui desidero parlarvi è emerso soltanto oggi.” “Ah, non è che abbia qualcosa in contrario, così per principio, solo che sono stanca morta. Venite da me per qualche minuto. Qui davvero non possiamo parlare, svegliamo tutti e mi spiacerebbe più per noi che per la gente. Aspettate che accenda la luce in camera mia e poi spegnetela qui.” K. eseguì, poi però aspettò fino a quando la signorina Buersrtner, fuori dalla sua stanza, lo incoraggiò di nuovo a voce bassa. “Sedetevi qui”, disse indicandogli l'ottomana, lei restando in piedi vicino a una colonna del letto, nonostante la stanchezza di cui aveva parlato; non si tolse neppure il cappello, piccolo ma strapieno di ornamenti floreali. “Che cosa desiderate dunque? Sono davvero curiosa.” Sovrappose leggiadra le gambe. “Forse direte”, iniziò K., “che la cosa non è così urgente da dirsi ora, però ...” “I preamboli faccio sempre come se non li sentissi”, disse la signorina Buersrtner. “Questo facilita il mio compito”, disse K. “La vostra stanza stamani in certo qual modo per colpa mia è stata messa un po' in disordine, lo fecero degli estranei a dispetto della mia volontà, eppure, come ho detto, per colpa mia; di questo volevo chiedervi scusa:” “La mia stanza?” chiese la signorina Buersrtner, e invece che la stanza, guardò indagatrice K. “E' così”, disse K. ed entrambi si guardarono per la prima volta negli occhi, “la ragione e il modo per cui ciò avvenne in sé non merita verbo alcuno.” “Però in effetti è interessante”, disse la signorina Buersrtner. “No”, disse K. “Ora, non voglio immischiarmi in cose segrete”, disse la signorina Buersrtner, “se insistete che non è interessante non intendo fare obbiezioni. Come voi mi chiedete, vi scuso volentieri, in particolare perché non riesco a trovare alcuna traccia di disordine.” Le scarne mani affondate sui fianchi, fece un giro nella stanza. Si fermò alla stuoia con su le fotografie. “Guardate, però”, disse ad alta voce, “le mie fotografie sono tutte a soqquadro. Però, è orribile. Qualcuno dunque è stato nella mia stanza senza autorizzazione.” K. annuì e maledisse in silenzio l'impiegato Kaminer, che non riusciva mai a frenare la sua monotona e stupida vivacità. “E' insolito “, disse la signorina Buersrtner, “che io sia costretta a proibirvi qualcosa che voi stesso dovevate proibire, cioè che si entrasse in camera mia in mia assenza.” “Ma ve lo spiegai, signorina Buersrtner”, disse K. avvicinandosi anche lui alle fotografie, “non fui io a violare le fotografie; ma poiché non mi credete devo ammettere che la commissione istruttoria ha condotto qui tre impiegati della banca uno dei quali, che quanto prima butterò fuori, probabilmente ha preso in mano le fotografie.” “Sì, una commissione istruttoria qui”, continuò K., infatti la signorina Buersrtner lo guardava con aria interrogativa. “Su di voi?” chiese. “Sì”, rispose K. “No”, esclamò lei, e si mise a ridere. “Però”, disse K., “ci credete che io sia innocente?” “Ora, innocente ...”, disse lei, “non ho intenzione di esprimere un giudizio impegnativo, neppure vi conosco, tuttavia bisogna essere un gran delinquente per vedersi appioppata così senza mediazioni una commissione istruttoria. Poiché però siete libero – almeno lo concludo dalla vostra calma, che non siete incappato nell'incarcerazione – non potete essere incorso in un crimine.” “Sì”, disse K., “ma la commissione istruttoria può aver compreso anche che non sono colpevole, oppure non così colpevole come presunto.” “Certo, può essere”, disse la signorina Buersrtner assai guardinga. “Vedete”, disse K., “voi non avete molta esperienza in fatto di giustizia. “ “No, non ne ho”, disse lei, “e spesso me ne sono rammaricata, difatti mi piacerebbe sapere tutto e sommamente m'interessano le cose della giustizia. I tribunali hanno un fascino particolare, no? Tuttavia completerò di sicuro le mie conoscenze in merito, difatti il mese prossimo entro in uno studio legale come segretaria.” “E' una cosa molto buona”, disse K., “allora potrete aiutarmi un po' nel mio processo.” “Potrebbe essere”, disse la signorina Buersrtner, “perché no? Impiegherò volentieri le mie conoscenze.” “Dico sul serio”, disse K., “o almeno per metà sul serio come intendete voi. La faccenda non è al livello di un avvocato, ma di un consigliere potrei aver bisogno.” “Sì, ma come consigliere dovrei sapere di che si tratta”, disse la signorina Buersrtner. “E' proprio questa la difficoltà”, disse K., “non lo so neanch'io.” “Allora vi siete permesso di prendermi in giro”, disse la signorina Buersrtner con gran disinganno, “era inutile al massimo grado scegliersi quest'ora di notte per farlo.” Si staccò dalle fotografie, dove lui e lei erano rimasti insieme tanto a lungo. “Ma no, signorina Buersrtner”, disse K., “non vi ho presa in giro affatto. Peccato che non mi vogliate credere! Già vi ho detto quello che so. Forse più di quello che so, difatti mica si trattava di una commissione istruttoria, la chiamo così perché non ne so alcun altro nome. Non vi fu alcuna istruttoria, venni arrestato e basta, ma non da una commissione.” La signorina Buersrtner sedette sull'ottomana e rise di nuovo: “E cos'era allora?” chiese. “Una cosa spaventosa”, disse K. senza neppure pensarci, tutto preso dalla vista della signorina Buersrtner, che appoggiava il viso su una mano – il gomito sul cuscino dell'ottomana – mentre con l'altra mano si sfiorava lentamente il fianco. “E' troppo generico”, disse lei. “Che cosa è generico?” chiese K. Poi si riprese e chiese: “Devo descrivervi com'è stato?” Voleva far qualcosa, ma non andar via. “Sono già stanca”, disse la signorina Buersrtner. “Tornaste così tardi”, disse K. “Ora finisce che vengo rimproverata, è anche giusto, difatti non avrei dovuto farvi entrare. E non serviva nemmeno, come si è dimostrato.” “Era necessario, ora lo vedrete”, disse K. “Posso staccare dal letto il tavolino da notte?” “Ma che cosa vi viene in mente?” disse la signorina Buersrtner, “certo che no!” “Allora non posso farvi vedere”, disse K. esasperato, come se gli si si recasse un danno smisurato. “Sì, se vi serve alla dimostrazione, allora tiratelo indietro, il tavolino, ma piano”, disse la signorina Buersrtner aggiungendo poi, a voce affievolita: “sono così stanca che concedo più di quanto è bene concedere.” K. piazzò il tavolino nel mezzo della stanza e vi si mise dietro. “Dovete immaginare correttamente la distribuzione dei personaggi, ciò è molto interessante. Io sono l'ispettore, là sul baule siedono due guardie, vicino alle fotografie si trovano i tre giovani. Alla maniglia della finestra è appesa una camicetta bianca, la menziono solo di sfuggita. E ora comincia. Anzi, mi dimentico il personaggio principale, io mi trovo qui davanti al tavolino. L'ispettore sta seduto con la massima comodità, le gambe accavallate, un braccio qui attaccato al dietro della spalliera, un tanghero come pochi. E ora comincia sul serio. L'ispettore chiama come se dovesse svegliarmi, addirittura urla, anch'io purtroppo sono costretto a urlare, se voglio farvi capire, d'altra parte si tratta solo del mio nome, che quello urla.” La signorina Buersrtner, che sorridendo stava a sentire, portò l'indice sulla bocca per impedire che K. urlasse, ma tardi, K. era troppo dentro la parte, gridò lentamente “Joseph K.!”, del resto non tanto a voce alta come aveva minacciato, eppur tuttavia in un modo per cui il grido, cacciato all'improvviso, parve diffondersi nella stanza solo pian piano.
Fu bussato all'uscio della stanza accanto diverse volte, con forza, a colpi brevi e regolari. La signorina Buerstner impallidì e si mise le mani sul cuore. K. ne fu spaventato in modo particolare in quanto per un po' non era stato capace di pensare ad altro che ai fatti della mattina e alla ragazza cui lui li rappresentava. Appena ripresosi balzò verso la signorina Buersrtner e le prese una mano. “Non abbiate alcun timore”, mormorò, “metterò io tutto a posto. Ma chi può essere? Qui accanto c'è solo la stanza di soggiorno, dove non dorme nessuno.” “No” mormorò a sua volta la signorina Buersrtner all'orecchio di K., “da ieri ci dorme un nipote della signora Grubach, un capitano. Tutte le camere sono occupate. Anch'io me n'ero dimenticata. Ma dovevate urlare così? Ne sono sgomenta.” “Non ve n'è motivo alcuno”, disse K. e, quando lei affondò nel cuscino, le baciò la fronte. “Via, via”, disse lei tirandosi di nuovo su in fretta, “andate, andate, una buona volta. Che cosa volete, lui sta ad ascoltare alla porta, sente tutto. Voi mi tormentate in un modo!” “Non me ne vado”, disse K., “finché non vi calmate un po'. Venite dall'altra parte della stanza, lì non ci può sentire.” Lei vi si lasciò guidare. “Voi non considerate”, le disse, “che per voi si tratta di un fastidio, certo, ma non di un rischio, assolutamente no. Lo sapete quanto la signora Grubach mi veneri, addirittura, e quanto creda in modo incondizionato a tutto quello che dico, ed è lei che decide in queste cose, in particolare dal momento che il capitano è suo nipote. Lei per altro dipende da me, difatti le pago un importo maggiorato. Mi faccio carico di ogni vostro suggerimento di una spiegazione del nostro esser qui insieme, basta che sia solo un po' adatto allo scopo, e garantisco di indurre la signora Grubach a credere davvero e sinceramente a tale spiegazione, non solo a crederci pro forma. Non dovete avere alcuna indulgenza per me. Qualora vogliate propalare che io vi ho colto di sorpresa, la signora Grubach verrà informata in tal senso, e ci crederà senza perdere la fiducia che ha in me, tanto mi è affezionata.” La signorina Buersrtner guardava il suolo, in silenzio e un po' accasciata. “Perché la signora Grubach non dovrebbe credere che vi ho colto di sorpresa”, continuò K. Si vide davanti la chioma di lei, rossastra, spartita, un po' gonfia, compatta. Credeva che avrebbe volto lo sguardo su di lui, invece senza cambiare postura lei disse: “perdonate, mi sono tanto spaventata per quei colpi alla porta, non per le conseguenze che potrebbe avere la presenza del capitano. C'era un tal silenzio dopo il vostro urlo, ed ecco i colpi, per ciò sono tanto spaventata, mi trovavo lì presso la porta, il rumore era quasi accanto a me. Vi ringrazio della vostra proposta, ma non la accetto. Per tutto quello che succede in camera mia posso assumermi la responsabilità, e precisamente nei confronti di tutti. Mi stupisco che non vi accorgiate di che razza di affronto per me ci sia nelle vostre proposte, naturalmente accanto alle buone intenzioni che certo riconosco. Ora però andate, lasciatemi sola, ne ho più bisogno di prima. Da quei pochi minuti che avete chiesto è uscita una mezz'ora e più.” K. le prese la mano e poi il polso: “però non ce l'avete con me, vero?” disse. Lei sfilò la mano e rispose: “No, no, non ce l'ho mai con nessuno, io.” Lui le riprese il polso, lei ora sopportò e fu in quel modo che lo condusse alla porta. Lui era fermamente deciso ad andarsene. Ma davanti all'uscio, come se non si fosse aspettato di trovarcelo, si fermò; la signorina Buersrtner ne approfittò per liberarsi della presa, aprì la porta, sgattaiolò nell'anticamera e da lì disse piano a K. “Su, venite, ora, per favore. Guardate” - indicò l'uscio del capitano da sotto il quale usciva una lama di luce - “ha acceso e si diverte a nostre spese.” “Eccomi, vengo”, disse K., svelto uscì, la strinse, la baciò sulla bocca e su tutto il viso come un animale assetato si butta con la lingua sull'acqua sorgiva finalmente trovata. Infine la baciò sulla gola e lì lasciò posate le labbra. Un rumore dalla stanza del capitano gli fece alzare lo sguardo. “Ora me ne andrò”, disse, voleva chiamare la signorina Buerstner per nome, ma non lo sapeva. Lei annuì stancamente, gli abbandonò, già quasi voltata, la mano da baciare, quasi senza sapere di farlo, e china andò in camera sua. Poco dopo K. giaceva a letto. Presto si addormentò, prima ripensò per un poco alla sua condotta, ne era soddisfatto, ma si stupì di non esserne ancor più soddisfatto; si dava seriamente pensiero per la signorina Buerstner a causa del capitano.


* Secondo capitolo de "Il processo"

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