Colloqui, con la signora Grubach prima, con la signorina Buerstner poi
In quella primavera K. di solito passava le serate dopo il lavoro – stava in ufficio fino alle 9 – facendo se possibile una passeggiatina da solo o con dei conoscenti, poi andava in una birreria dove abitualmente sedeva fino alle 11 a un tavolo riservato, insieme per lo più ad anziani signori. C'erano però eccezioni a tale orario, quando per esempio K. veniva invitato dal direttore della banca, che ne stimava molto la laboriosità e affidabilità, a fare un giro in auto o a cena nella sua villa. A parte ciò una volta alla settimana K. andava da una signorina di nome Elsa che lavorava di notte e fino alla tarda mattina come cameriera in una mescita di vino, e di giorno accoglieva visite solo stando a letto.
In quella primavera K. di solito passava le serate dopo il lavoro – stava in ufficio fino alle 9 – facendo se possibile una passeggiatina da solo o con dei conoscenti, poi andava in una birreria dove abitualmente sedeva fino alle 11 a un tavolo riservato, insieme per lo più ad anziani signori. C'erano però eccezioni a tale orario, quando per esempio K. veniva invitato dal direttore della banca, che ne stimava molto la laboriosità e affidabilità, a fare un giro in auto o a cena nella sua villa. A parte ciò una volta alla settimana K. andava da una signorina di nome Elsa che lavorava di notte e fino alla tarda mattina come cameriera in una mescita di vino, e di giorno accoglieva visite solo stando a letto.
Quella
sera però – la giornata era volata tra l'intenso lavoro e i molti
auguri rispettosi e affettuosi di compleanno – K. volle andare
subito a casa. Durante ogni piccola pausa del lavoro ci aveva
pensato; senza avere una chiara opinione, gli pareva che fosse stata,
da quel che era accaduto la mattina, causata una gran confusione in
tutto l'appartamento della signora Grubach, e che proprio lui
servisse a rimettervi ordine. Una volta ripristinato l'ordine, ogni
traccia dell'accaduto sarebbe stata cancellata e tutto avrebbe
ripreso il suo vecchio andamento. In particolare dai 3 impiegati non
c'era niente da temere, erano di nuovo immersi nella burocrazia
bancaria, in loro non si notava alcun cambiamento. K. più volte li
aveva convocati da soli o in gruppo nel suo ufficio con il solo scopo
di osservarli; e sempre aveva potuto congedarli soddisfatto.
Arrivando
verso le 9,30 di sera davanti alla casa dove abitava, sul portone
incontrò un giovanottino che se ne stava a gambe larghe a fumare la
pipa. “Chi siete?”, chiese subito K. avvicinando il viso al
giovane, nella penombra dell'atrio non ci si vedeva bene. “Sono il
figlio del portinaio, egregio signore”, rispose il giovane, tolse
di bocca la pipa e si fece da parte. “Il figlio del portinaio?”,
chiese K. colpendo impaziente il suolo con il bastone. “Il signore
desidera qualcosa? Devo andare a chiamare il babbo?” “No no”,
disse K., c'era nella sua voce un che di scusa, quasi che il giovane
avesse fatto qualcosa di male e lui lo perdonasse. “Va bene”,
disse poi e proseguì, ma prima di salire le scale si girò ancora
una volta.
Avrebbe
potuto andare diretto in camera sua, ma poiché voleva parlare con la
signora Grubach bussò subito al suo uscio. Era seduta e lavorava a
maglia, sul tavolo un mucchio di calze. Generico, K. si scusò di
venire così tardi, ma la signora fu molto gentile e non intese
alcuna scusa: lui poteva sempre parlarle, lo sapeva molto bene di
essere il suo migliore e più caro pensionante. K. si guardò
attorno, la stanza non era affatto diversa dal solito, le stoviglie
della colazione che la mattina si trovavano presso la finestra non
c'erano più. Eh, le mani di una donna sono capaci di far molto e
senza chiasso, pensò, le stoviglie lui le avrebbe fatte a pezzi sul
posto, sì, ma certo non sarebbe riuscito a portarle via. Guardò la
signora con una certa gratitudine. “Perché lavorate ancora così
tardi?”, chiese. Ora sedevano entrambi al tavolo, di tanto in tanto
K. infilava una mano tra le calze. “C'è molto da fare”, disse
lei, “e di giorno sono tutta dei pensionanti; se voglio sistemare
le mie cose, mi restano solo le serate.” “Oggi vi ho causato
davvero una fatica extra.” “E perché poi?”, chiese lei con più
calore, e il lavoro le giacque in grembo. “Mi riferisco agli uomini
che stamani erano qui.” “Ah, sì”, disse lei placandosi, “non
mi ha causato una fatica extra.” K. in silenzio guardò il lavoro a
maglia che riprendeva. Pare meravigliata che io ne parli, pensò,
pare che non lo ritenga dovuto. Tanto più è necessario che io lo
faccia. Solo con una donna anziana ne posso parlare. “Eppure di
certo è stato faticoso”, disse allora, “ma non succederà di
nuovo.” “No, non può succedere ancora”, disse lei come per
sottolineare, e sorrise a K. quasi con malinconia. “Dite sul
serio?”, chiese K. “Sì”, disse lei a bassa voce, “ma prima
di tutto non dovete prendervela troppo. Sono cose che capitano! Visto
che voi, signor K., mi parlate così in confidenza, posso confessarvi
che sono stata un po' ad ascoltare dietro l'uscio e che le due
guardie hanno riferito qualcosa anche a me. Si tratta, è certo,
della vostra felicità, che davvero mi sta a cuore più di quanto
forse mi spetti, dato che resto la vostra affittacamere, unicamente.
Dunque, ho udito qualcosa, ma non posso dire che fosse
particolarmente negativo. No. Siete certo in arresto, ma non com'è
arrestato un ladro. Essere in arresto come un ladro, questo è
negativo, ma quest'arresto … Mi pare qualcosa come una lezione,
scusate se dico una sciocchezza, mi pare qualcosa che
io non capisco di certo, e che però neppure deve esser capito.”
“Non
è per niente una sciocchezza quel che avete detto, signora Grubach,
in parte almeno sono della vostra opinione, solo che do un giudizio
complessivo ancora più caustico del vostro, semplicemente non prendo
l'accaduto come una lezione, ma come un nulla, proprio.
Venni colto di sorpresa, ecco cosa fu. Se fossi stato sveglio, senza
farmi ingannare dall'assenza dell'Anna mi sarei subito levato e senza
riguardo per chi mi fosse capitato tra i piedi sarei venuto da voi,
avrei per una volta fatto un po' di colazione in cucina, vi avrei
fatto portare i miei abiti dalla mia stanza, per farla breve se mi
fossi comportato in modo razionale non sarebbe accaduto altro, e
tutto, fosse quel che fosse, sarebbe stato soffocato. Si è così
poco preparati, tuttavia. Alla banca per esempio sono preparato, lì
sarebbe impossibile che mi capitasse una cosa simile, ho una persona
al mio servizio, lì, il telefono esterno e quello interno stanno
davanti a me sul tavolo, continua a venire gente, impiegati e
clienti; inoltre e soprattutto lì sono sempre operativo, per cui ci
sto con la testa, lì sarebbe addirittura un passatempo per me venir
confrontato con una faccenda simile. Ora è passata e in effetti non
ne volevo nemmeno parlare, desideravo solo sentire il vostro
giudizio, il giudizio di una donna assennata, e sono molto lieto che
siamo d'accordo. Però ora dovete porgermi la mano, trovarsi
d'accordo così deve venir consolidato da una stretta di mano.”
Me
la porgerà la mano? L'ispettore non l'ha fatto, pensò lui guardando
la donna che, diversamente da prima, lo scrutava. Lei si levò perché
anche lui si era levato, un po' imbarazzata poiché non aveva capito
tutto quello che aveva detto K. Conseguentemente a tale imbarazzo
disse però qualcosa che non voleva affatto dire e che non c'entrava
proprio: “ma non fatela tanto difficile, signor K.”, disse, aveva
il pianto nella voce e naturalmente scordò la stretta di mano. “Non
sapevo di farla difficile”, disse K. con improvvisa stanchezza,
capendo la vanità di tutta l'approvazione di quella donna.
Ancora
sulla porta chiese: “la signorina Buerstner è in casa?” “No”,
disse la signora Grubach, sorrise di tale informazione ridotta
all'osso e ne dette una ragionevolmente più ampia. “E' a teatro.
Desiderate qualcosa da lei? Devo dirle qualcosa?” “Oh, volevo
solo scambiarci due parole.” “Purtroppo non so quando viene;
quando è a teatro di solito torna tardi.” “Va bene lo stesso”,
disse K. e inchinava già la testa andando verso la porta, “volevo
solo scusarmi con lei per averle occupato la stanza, oggi.” “Non
serve, signor K., avete troppi riguardi, la signorina Buersrtner non
ne sa proprio nulla, non era a casa già dal primo mattino e tutto è
stato rimesso in ordine, vedete voi stesso.” E aprì l'uscio che
dava nella stanza della signorina Buerstner. “Grazie, lo credo
anch'io”, disse K., però si diresse verso l'uscio aperto. La luna
splendeva serena nella stanza buia. Per quanto si poteva vedere tutto
era davvero al suo posto, neanche la camicetta stava più appesa alla
maniglia della finestra. Faceva spettacolo l'altezza dei cuscini sul
letto, in parte illuminati dalla luce della luna. “La signorina
Buersrtner torna spesso a casa tardi”, disse K. guardando la
signora Grubach come se lei ne avesse la giustificazione. “E' tanto
giovane!”, disse a mo' di scusante la signora Grubach. “Certo,
certo”, disse K., “però capita di passare i limiti.” “E'
vero”, disse la signora Grubach, “come dite bene, signor K. E
proprio in questo caso. Non voglio certo denigrare la signorina
Buerstner, è una ragazza buona e cara, gentile, ordinata, puntuale,
lavoratrice, ciò lo apprezzo molto, ma una cosa è vera, dovrebbe
essere più altera, riservata. Questo mese l'ho già vista due volte
in strade fuori mano e sempre insieme a un signore diverso. Mi
addolora molto, lo racconto, Dio mi è testimone, solo a voi, signor
K., ma sarà inevitabile che ne parli anche con la signorina
Buersrtner. Del resto non è l'unica cosa che m'insospettisce.”
“Siete del tutto fuori strada”, disse K., adirato e quasi
incapace di nasconderlo, “del resto avete capito male anche la mia
osservazione sulla signorina Buersrtner, non mirava a questo. Vi
metto in guardia sinceramente dal dire un qualcosa alla signorina
Buersrtner, sbagliate completamente, io la conosco molto bene, non
c'è nulla di vero in quel che dicevate. Del resto forse esagero, non
ho intenzione di impedirvi di dirle ciò che volete. Buona notte.”
“Signor K.”, disse la signora Grubach implorante seguendolo fino
alla sua porta, da lui già aperta, “davvero non ho intenzione di
parlare con la signorina Buersrtner, è naturale che prima io voglia
ancora continuare a studiarla, vi ho solo confidato quel che sapevo.
In fin dei conti è necessario conoscere ogni inquilino quando si
cerca di mantenere la pensione pulita, non sto mirando a
nient'altro.” “Pulizia!” esclamò K. che era ancora sulla porta
appena aperta, “se volete mantenere pulita la pensione, per prima
cosa dovete mandare via me.” Poi la chiuse senza badare più a un
certo leggero bussio.
Decise,
dal momento che non aveva nessuna voglia di dormire, di restare
sveglio e con ciò di accertarsi di quando sarebbe tornata la
signorina Buerstner. Magari avrebbe potuto anche parlarci un po', per
quanto sconveniente ciò potesse essere. Stette alla finestra,
strinse gli occhi stanchi e per un momento pensò addirittura di
castigare la signora Grubach convincendo la signorina Buerstner a
lasciare insieme a lui la pensione. Subito però la cosa gli sembrò
tremendamente esagerata, stava prendendo ciò che era successo la
mattina come scusa per cambiare abitazione, sospettò suo malgrado.
Nulla di più insensato e soprattutto di più vano, e di più vile.
Quando
fu stufo di star lì a guardare le strade vuote si mise sul canapè
dopo aver socchiuso la porta che dava sull'anticamera per poter
vedere subito da quella posizione chiunque entrasse in casa. Più o
meno fino alle 11 se ne stette tranquillo a fumare una sigaretta.
Dopo però ne ebbe abbastanza e andò un po' in anticamera come se
con questo potesse affrettare l'arrivo della signorina Buerstner. Non
che ne avesse alcun particolare desiderio, non era nemmeno in grado
di ricordarsene bene l'aspetto, ma ora voleva parlarci, e lo irritava
che lei tardando recasse inquietudine e disordine anche in coda a
quella giornata. Aveva anche colpa del fatto che lui non aveva cenato
e aveva trascurato di far la progettata visita a Elsa. D'altra parte
poteva riparare a entrambe le cose andando ora alla mescita dove
lavorava Elsa. Aveva intenzione di farlo più tardi, dopo aver
parlato con la signorina Buerstner.
Erano
più delle 11 e mezzo quando si udì qualcuno per le scale. K., che
abbandonato ai suoi pensieri camminava qua e là rumorosamente
nell'anticamera come se quella fosse camera sua, scappò dietro la
propria porta. Era la signorina Buerstner, era arrivata.
Rabbrividendo di freddo nel chiudere la porta si avvolse le scarne
spalle con uno scialle di seta. Tra un momento sarebbe entrata nella
sua stanza dove certo K. non poteva permettersi di infilarsi a
quell'ora; per cui doveva rivolgerle la parola subito, però
sfortunatamente non aveva acceso la luce elettrica in camera sua, per
cui farsi avanti dal buio sarebbe sembrato un agguato, come minimo
una cosa da far spavento. Non sapendo che fare e in mancanza totale
di tempo, sussurrò dalla porta socchiusa: “signorina Buerstner.”
Aveva il tono di una preghiera, non di un richiamo. “Chi è?”
chiese la signorina facendo tanto d'occhi e guardandosi attorno.
“Sono io”, disse K. muovendosi verso di lei. “Oh, signor K.!”
disse la signorina Buersrtner sorridendo. “Buona sera”. Gli porse
la mano. “Volevo dirvi due parole, me lo concedete ora?”
“Subito?” chiese la signorina Buersrtner, “proprio ora? Non è
un po' insolito?” “Vi aspetto dalle 9.” “Mah, ero a teatro,
non sapevo mica di voi.” “Il motivo per cui desidero parlarvi è
emerso soltanto oggi.” “Ah, non è che abbia qualcosa in
contrario, così per principio, solo che sono stanca morta. Venite
da me per qualche minuto. Qui davvero non possiamo parlare, svegliamo
tutti e mi spiacerebbe più per noi che per la gente. Aspettate che
accenda la luce in camera mia e poi spegnetela qui.” K. eseguì,
poi però aspettò fino a quando la signorina Buersrtner, fuori dalla
sua stanza, lo incoraggiò di nuovo a voce bassa. “Sedetevi qui”,
disse indicandogli l'ottomana, lei restando in piedi vicino a una
colonna del letto, nonostante la stanchezza di cui aveva parlato; non
si tolse neppure il cappello, piccolo ma strapieno di ornamenti
floreali. “Che cosa desiderate dunque? Sono davvero curiosa.”
Sovrappose leggiadra le gambe. “Forse direte”, iniziò K., “che
la cosa non è così urgente da dirsi ora, però ...” “I
preamboli faccio sempre come se non li sentissi”, disse la
signorina Buersrtner. “Questo facilita il mio compito”, disse K.
“La vostra stanza stamani in certo qual modo per colpa mia è stata
messa un po' in disordine, lo fecero degli estranei a dispetto della
mia volontà, eppure, come ho detto, per colpa mia; di questo volevo
chiedervi scusa:” “La mia stanza?” chiese la signorina
Buersrtner, e invece che la stanza, guardò indagatrice K. “E'
così”, disse K. ed entrambi si guardarono per la prima volta negli
occhi, “la ragione e il modo per cui ciò avvenne in sé non merita
verbo alcuno.” “Però in effetti è interessante”, disse la
signorina Buersrtner. “No”, disse K. “Ora, non voglio
immischiarmi in cose segrete”, disse la signorina Buersrtner, “se
insistete che non è interessante non intendo fare obbiezioni. Come
voi mi chiedete, vi scuso volentieri, in particolare perché non
riesco a trovare alcuna traccia di disordine.” Le scarne mani
affondate sui fianchi, fece un giro nella stanza. Si fermò alla
stuoia con su le fotografie. “Guardate, però”, disse ad alta
voce, “le mie fotografie sono tutte a soqquadro. Però, è
orribile. Qualcuno dunque è stato nella mia stanza senza
autorizzazione.” K. annuì e maledisse in silenzio l'impiegato
Kaminer, che non riusciva mai a frenare la sua monotona e stupida
vivacità. “E' insolito “, disse la signorina Buersrtner, “che
io sia costretta a proibirvi qualcosa che voi stesso dovevate
proibire, cioè che si entrasse in camera mia in mia assenza.” “Ma
ve lo spiegai, signorina Buersrtner”, disse K. avvicinandosi anche
lui alle fotografie, “non fui io a violare le fotografie; ma poiché
non mi credete devo ammettere che la commissione istruttoria ha
condotto qui tre impiegati della banca uno dei quali, che quanto
prima butterò fuori, probabilmente ha preso in mano le fotografie.”
“Sì, una commissione istruttoria qui”, continuò K., infatti la
signorina Buersrtner lo guardava con aria interrogativa. “Su di
voi?” chiese. “Sì”, rispose K. “No”, esclamò lei, e si
mise a ridere. “Però”, disse K., “ci credete che io sia
innocente?” “Ora, innocente ...”, disse lei, “non ho
intenzione di esprimere un giudizio impegnativo, neppure vi conosco,
tuttavia bisogna essere un gran delinquente per vedersi appioppata
così senza mediazioni una commissione istruttoria. Poiché però
siete libero – almeno lo concludo dalla vostra calma, che non siete
incappato nell'incarcerazione – non potete essere incorso in un
crimine.” “Sì”, disse K., “ma la commissione istruttoria può
aver compreso anche che non sono colpevole, oppure non così
colpevole come presunto.” “Certo, può essere”, disse la
signorina Buersrtner assai guardinga. “Vedete”, disse K., “voi
non avete molta esperienza in fatto di giustizia. “ “No, non ne
ho”, disse lei, “e spesso me ne sono rammaricata, difatti mi
piacerebbe sapere tutto e sommamente m'interessano le cose della
giustizia. I tribunali hanno un fascino particolare, no? Tuttavia
completerò di sicuro le mie conoscenze in merito, difatti il mese
prossimo entro in uno studio legale come segretaria.” “E' una
cosa molto buona”, disse K., “allora potrete aiutarmi un po' nel
mio processo.” “Potrebbe essere”, disse la signorina
Buersrtner, “perché no? Impiegherò volentieri le mie conoscenze.”
“Dico sul serio”, disse K., “o almeno per metà sul serio come
intendete voi. La faccenda non è al livello di un avvocato, ma di un
consigliere potrei aver bisogno.” “Sì, ma come consigliere
dovrei sapere di che si tratta”, disse la signorina Buersrtner. “E'
proprio questa la difficoltà”, disse K., “non lo so neanch'io.”
“Allora vi siete permesso di prendermi in giro”, disse la
signorina Buersrtner con gran disinganno, “era inutile al massimo
grado scegliersi quest'ora di notte per farlo.” Si staccò dalle
fotografie, dove lui e lei erano rimasti insieme tanto a lungo. “Ma
no, signorina Buersrtner”, disse K., “non vi ho presa in giro
affatto. Peccato che non mi vogliate credere! Già vi ho detto quello
che so. Forse più di quello che so, difatti mica si trattava di una
commissione istruttoria, la chiamo così perché non ne so alcun
altro nome. Non vi fu alcuna istruttoria, venni arrestato e basta, ma
non da una commissione.” La signorina Buersrtner sedette
sull'ottomana e rise di nuovo: “E cos'era allora?” chiese. “Una
cosa spaventosa”, disse K. senza neppure pensarci, tutto preso
dalla vista della signorina Buersrtner, che appoggiava il viso su una
mano – il gomito sul cuscino dell'ottomana – mentre con l'altra
mano si sfiorava lentamente il fianco. “E' troppo generico”,
disse lei. “Che cosa è generico?” chiese K. Poi si riprese e
chiese: “Devo descrivervi com'è stato?” Voleva far qualcosa, ma
non andar via. “Sono già stanca”, disse la signorina Buersrtner.
“Tornaste così tardi”, disse K. “Ora finisce che vengo
rimproverata, è anche giusto, difatti non avrei dovuto farvi
entrare. E non serviva nemmeno, come si è dimostrato.” “Era
necessario, ora lo vedrete”, disse K. “Posso staccare dal letto
il tavolino da notte?” “Ma che cosa vi viene in mente?” disse
la signorina Buersrtner, “certo che no!” “Allora non posso
farvi vedere”, disse K. esasperato, come se gli si si recasse un
danno smisurato. “Sì, se vi serve alla dimostrazione, allora
tiratelo indietro, il tavolino, ma piano”, disse la signorina
Buersrtner aggiungendo poi, a voce affievolita: “sono così stanca
che concedo più di quanto è bene concedere.” K. piazzò il
tavolino nel mezzo della stanza e vi si mise dietro. “Dovete
immaginare correttamente la distribuzione dei personaggi, ciò è
molto interessante. Io sono l'ispettore, là sul baule siedono due
guardie, vicino alle fotografie si trovano i tre giovani. Alla
maniglia della finestra è appesa una camicetta bianca, la menziono
solo di sfuggita. E ora comincia. Anzi, mi dimentico il personaggio
principale, io mi trovo qui davanti al tavolino. L'ispettore sta
seduto con la massima comodità, le gambe accavallate, un braccio qui
attaccato al dietro della spalliera, un tanghero come pochi. E ora
comincia sul serio. L'ispettore chiama come se dovesse svegliarmi,
addirittura urla, anch'io purtroppo sono costretto a urlare, se
voglio farvi capire, d'altra parte si tratta solo del mio nome, che
quello urla.” La signorina Buersrtner, che sorridendo stava a
sentire, portò l'indice sulla bocca per impedire che K. urlasse, ma
tardi, K. era troppo dentro la parte, gridò lentamente “Joseph
K.!”, del resto non tanto a voce alta come aveva minacciato, eppur
tuttavia in un modo per cui il grido, cacciato all'improvviso, parve
diffondersi nella stanza solo pian piano.
Fu
bussato all'uscio della stanza accanto diverse volte, con forza, a
colpi brevi e regolari. La signorina Buerstner impallidì e si mise
le mani sul cuore. K. ne fu spaventato in modo particolare in quanto
per un po' non era stato capace di pensare ad altro che ai fatti
della mattina e alla ragazza cui lui li rappresentava. Appena
ripresosi balzò verso la signorina Buersrtner e le prese una mano.
“Non abbiate alcun timore”, mormorò, “metterò io tutto a
posto. Ma chi può essere? Qui accanto c'è solo la stanza di
soggiorno, dove non dorme nessuno.” “No” mormorò a sua volta
la signorina Buersrtner all'orecchio di K., “da ieri ci dorme un
nipote della signora Grubach, un capitano. Tutte le camere sono
occupate. Anch'io me n'ero dimenticata. Ma dovevate urlare così? Ne
sono sgomenta.” “Non ve n'è motivo alcuno”, disse K. e, quando
lei affondò nel cuscino, le baciò la fronte. “Via, via”, disse
lei tirandosi di nuovo su in fretta, “andate, andate, una buona
volta. Che cosa volete, lui sta ad ascoltare alla porta, sente tutto.
Voi mi tormentate in un modo!” “Non me ne vado”, disse K.,
“finché non vi calmate un po'. Venite dall'altra parte della
stanza, lì non ci può sentire.” Lei vi si lasciò guidare. “Voi
non considerate”, le disse, “che per voi si tratta di un
fastidio, certo, ma non di un rischio, assolutamente no. Lo sapete
quanto la signora Grubach mi veneri, addirittura, e quanto creda in
modo incondizionato a tutto quello che dico, ed è lei che decide in
queste cose, in particolare dal momento che il capitano è suo
nipote. Lei per altro dipende da me, difatti le pago un importo
maggiorato. Mi faccio carico di ogni vostro suggerimento di una
spiegazione del nostro esser qui insieme, basta che sia solo un po'
adatto allo scopo, e garantisco di indurre la signora Grubach a
credere davvero e sinceramente a tale spiegazione, non solo a
crederci pro forma. Non dovete avere alcuna indulgenza per me.
Qualora vogliate propalare che io vi ho colto di sorpresa, la signora
Grubach verrà informata in tal senso, e ci crederà senza perdere la
fiducia che ha in me, tanto mi è affezionata.” La signorina
Buersrtner guardava il suolo, in silenzio e un po' accasciata.
“Perché la signora Grubach non dovrebbe credere che vi ho colto di
sorpresa”, continuò K. Si vide davanti la chioma di lei,
rossastra, spartita, un po' gonfia, compatta. Credeva che avrebbe
volto lo sguardo su di lui, invece senza cambiare postura lei disse:
“perdonate, mi sono tanto spaventata per quei colpi alla porta, non
per le conseguenze che potrebbe avere la presenza del capitano. C'era
un tal silenzio dopo il vostro urlo, ed ecco i colpi, per ciò sono
tanto spaventata, mi trovavo lì presso la porta, il rumore era quasi
accanto a me. Vi ringrazio della vostra proposta, ma non la accetto.
Per tutto quello che succede in camera mia posso assumermi la
responsabilità, e precisamente nei confronti di tutti. Mi stupisco
che non vi accorgiate di che razza di affronto per me ci sia nelle
vostre proposte, naturalmente accanto alle buone intenzioni che certo
riconosco. Ora però andate, lasciatemi sola, ne ho più bisogno di
prima. Da quei pochi minuti che avete chiesto è uscita una mezz'ora
e più.” K. le prese la mano e poi il polso: “però non ce
l'avete con me, vero?” disse. Lei sfilò la mano e rispose: “No,
no, non ce l'ho mai con nessuno, io.” Lui le riprese il polso, lei
ora sopportò e fu in quel modo che lo condusse alla porta. Lui era
fermamente deciso ad andarsene. Ma davanti all'uscio, come se non si
fosse aspettato di trovarcelo, si fermò; la signorina Buersrtner ne
approfittò per liberarsi della presa, aprì la porta, sgattaiolò
nell'anticamera e da lì disse piano a K. “Su, venite, ora, per
favore. Guardate” - indicò l'uscio del capitano da sotto il quale
usciva una lama di luce - “ha acceso e si diverte a nostre spese.”
“Eccomi, vengo”, disse K., svelto uscì, la strinse, la baciò
sulla bocca e su tutto il viso come un animale assetato si butta con
la lingua sull'acqua sorgiva finalmente trovata. Infine la baciò
sulla gola e lì lasciò posate le labbra. Un rumore dalla stanza del
capitano gli fece alzare lo sguardo. “Ora me ne andrò”, disse,
voleva chiamare la signorina Buerstner per nome, ma non lo sapeva.
Lei annuì stancamente, gli abbandonò, già quasi voltata, la mano
da baciare, quasi senza sapere di farlo, e china andò in camera sua.
Poco dopo K. giaceva a letto. Presto si addormentò, prima ripensò
per un poco alla sua condotta, ne era soddisfatto, ma si stupì di
non esserne ancor più soddisfatto; si dava seriamente pensiero per
la signorina Buerstner a causa del capitano.
* Secondo capitolo de "Il processo"
Nessun commento:
Posta un commento