venerdì 26 giugno 2020

Franz Kafka: Il processo - 10


Fine

Alla vigilia del suo 31° compleanno – erano circa le 9 di sera, l'ora del silenzio nelle strade – due signori vennero nell'abitazione di K. In finanziera, pallidi e grassi, portavano cappelli a cilindro apparentemente inamovibili. Dopo brevi formalità sulla porta dell'abitazione, per entrare, le stesse formalità si ripeterono, accresciute, davanti all'uscio di K. Senza che gli fosse stata notificata la visita, K stava, anche lui vestito di nero, seduto in prossimità dell'uscio e lento s'infilava dei guanti nuovi che, stretti, gli si tendevano sulle dita; pareva attendere ospiti. Subito si alzò e guardò incuriosito quei signori. “Dunque mi sono destinati loro?” - chiese. Essi annuirono, uno dei due con il cilindro in mano indicò l'altro. K comprese che diversa era la visita da lui attesa. Andò alla finestra e guardò ancora una volta la strada buia. Anche tutte le finestre sull'altro lato della via, quasi, erano ancora buie, e in molte le tende erano abbassate. Dietro una finestra condominiale illuminata giocavano insieme, dietro una grata, due bambini piccoli e, ancora incapaci di muoversi da dov'erano, si cercavano l'un l'altro con le manine. “Mi si mandano vecchi attori di secondo piano”, si disse K girandosi per convincersene. “Si cerca di farla finita con me a buon prezzo.” Si volse d'improvviso a loro e chiese: “In qual teatro recitano loro?” “Teatro?” - chiese l'uno all'altro, contraendo gli angoli della bocca, a scopo di averne dei lumi. L'altro si espresse a segni come un muto che lotti con un organismo ribelle. “Non sono preparati a ricevere domande”, si disse K e andò a prendere il cappello.
Già per le scale quei signori vollero agganciarlo sottobraccio K, ma questi disse: “solo in strada, non sono malato.” Tuttavia subito davanti al portone lo agganciarono in un modo come ancora K mai aveva camminato sottobraccio a qualcuno. Piazzarono le spalle strettamente dietro quelle di lui, non piegarono le braccia, ma le adoperarono per cingere quelle di K nella loro intera lunghezza, gli afferrarono le mani con una presa precisamente studiata, irresistibile. K camminò stretto, inteccherito tra loro, ora tutti e tre formavano una tale continuità che, se si fosse abbattuto uno di loro, sarebbero stati abbattuti tutti. Era una continuità come la può formare quasi solo l'assenza di vita.
Transitando sotto le lanterne K tentò più volte, per quanto potesse esser difficile farlo in tale stretta reciprocità, di vedere i suoi accompagnatori più chiaramente di quanto fosse stato possibile nella penombra della sua stanza. Forse si tratta di tenori, pensò alla vista dei loro pesanti doppi menti. Fu nauseato dalla nettezza delle loro facce. Si vedeva davvero ancora la mano nettatrice che era passata sugli angoli dei loro occhi, che aveva rasato lo spazio tra nasi e labbra superiori, che aveva appianato le rughe dei loro menti.
Notato questo, K si fermò, per cui si fermarono anche gli altri; erano al margine di un luogo aperto, deserto, abbellito da edifici. “Perché hanno mandato proprio loro?” - gridò K più che chiederlo. Quei signori non sapevano chiaramente dare risposta alcuna, si posero in attesa tenendo le loro braccia libere nella posizione che assumono gli infermieri quando il malato vuol muoversi. “Non cammino più”, disse K, a mo' di prova. I due non ebbero bisogno di rispondere, bastò che non allentassero la presa e cercarono di levar via K da dov'era, ma lui si oppose. “Io non avrò più bisogno di molta forza, l'adopero tutta subito”, pensò. Gli vennero in mente le mosche, che con le zampette staccate dalla fraschetta spalmata di colla muoiono. “I signori avranno un bel daffare.”
In quella davanti a loro sbucò su una scaletta, da una stradina in basso, la signorina Buerstner. Non v'era totale certezza che fosse lei, la somiglianza era certo grande. Tuttavia a K non importava affatto che fosse proprio la signorina Buerstner, lui era consapevole della vanità della propria opposizione. Non era affatto eroico opporsi, mettere in difficoltà quei signori, cercare ora di gustare nella resistenza l'ultimo lampo di vita. Si mise in movimento e qualcosa della gioia che ciò dava a quei signori passò a lui. Ora tolleravano che lui decidesse la direzione del cammino, e lui decise di seguire la via presa davanti a loro dalla signorina, non perché volesse raggiungerla, diciamo, non perché volesse vederla il più possibile a lungo, ma solo per non dimenticare l'ammonimento che lei significava per lui. “L'unica cosa che ora posso fare”, si disse mentre la simmetria dei suoi passi e di quelli degli altri tre corroborava i suoi pensieri, “l'unica cosa che ora posso fare è mantenere una serena intelligenza analitica, fino alla fine. Volli sempre esagerare nella vita, per altro con scopi non troppo accettabili. Non era giusto, e ora devo mostrare che neppure il processo, lungo un anno, riuscì a istruirmi? Devo andarmene come un uomo tardo di comprendonio? Mi si deve poter ripetere che è dall'inizio del processo che voglio portarlo a termine e che, ora che finisce, voglio ricominciarlo? Non voglio che si dica ciò. Sono grato che mi abbiano assegnato per questo cammino questi signori semi muti e incapaci di comprensione e che mi abbiano lasciato la possibilità di dirmi da solo quel che serve.”
La signorina era svoltata intanto in una viuzza laterale, ma K già poteva fare a meno di lei, abbandonandosi ai suoi accompagnatori. Tutti e tre ora in piena concordia passarono su un ponte nel bagliore della luna, ogni piccolo movimento che K faceva quei signori lo permettevano con prontezza, quando lui si volse un poco sul parapetto anche loro si girarono da quella parte, come un sol uomo. L'acqua tremava e luccicava sotto la luce della luna dividendosi attorno a un'isoletta stracolma del fogliame di alberi e cespugli. Sotto, ora invisibili, v'erano vialetti con panchine su cui K in estate spesso si era steso, allungato. “Mica volevo fermarmi”, disse ai suoi accompagnatori, vergognandosi della loro disponibilità. Uno dei due parve, dietro le spalle di K, rimproverare un poco l'altro a causa della fermata, frutto di equivoco, poi proseguirono. Attraversarono alcune viuzze in salita dove camminavano o sostavano poliziotti, ora distanti, ora vicinissimi. Uno con il pizzo ispido, la mano sull'elsa della sciabola, si avvicinò intenzionalmente a quel non del tutto insospettabile terzetto. Quei signori si fermarono, il poliziotto pareva già aprir bocca, allora K con forza tirò in avanti i suoi accompagnatori. Più volte si girò cauto per vedere se il poliziotto li seguiva o no; quando tra loro e il poliziotto ci fu tuttavia un angolo, K iniziò a correre e quei signori furono costretti a correre anche loro, nonostante che respirassero molto male.
Così, velocemente uscirono dalla città, che da quella parte quasi senza transizione confinava con i campi. Un ponticello di pietra, abbandonato e malinconico, si trovava nelle vicinanze di un edificio del tutto cittadino. Qui sostarono quei signori, sia che quel posto fosse la loro meta fin dall'inizio, sia che fossero troppo sfiatati per continuare la corsa. Subito lasciarono libero K, che, muto, era in attesa, si levarono i cappelli a cilindro e, mentre si guardavano attorno nella cava di pietre, con i fazzoletti si asciugarono la fronte sudata. Dappertutto la luna, placida e naturale, faceva quella luce cui nessuna è uguale.
Dopo uno scambio di alcune forme di cortesia riguardo a chi dovesse eseguire l'imminente compito – quei signori pareva che avessero ricevuto l'incarico entrambi – uno andò da K e gli tolse la giacca, il gilè e infine la camicia. Senza volere K rabbrividì, per cui quel signore gli dette, per tranquillizzarlo, un colpetto sulle spalle. Poi con cura mise insieme le robe come se fossero, per quanto non nell'immediato, ancora utilizzabili. Per non esporre K, immobile, all'aria notturna, comunque fredda, quello stesso lo prese sotto braccio e ci camminò insieme un poco, qua e là, mentre l'altro signore perlustrava la cava alla ricerca di un posto adeguato. Quando lo ebbe trovato fece un cenno e l'altro vi accompagnò K. Sul posto, prossimo alla parete della cava, v'era una pietra staccata. I due piazzarono K in terra e lo appoggiarono alla pietra, su cui adagiarono la sua testa. Nonostante ogni loro sforzo, nonostante tutta la cooperazione che K dimostrava loro, il suo contegno molto sottomesso restò inattendibile. Uno dei due pregò l'altro di lasciare un momento che lui sistemasse K da solo, ma anche così la cosa non andò meglio. Infine lo sistemarono in una posizione che non era nemmeno la migliore tra quelle fin lì trovata. Allora uno dei due signori si aprì la finanziera e trasse, dal fodero che stava appeso a una cintura tesa sul gilè, un coltello da macellaio, lungo, stretto e affilato su entrambi i lati, lo alzò e ne esaminò l'affilatura alla luce. Ricominciarono le stomachevoli forme di cortesia, l'uno porgeva al di sopra di K il coltello all'altro, che a sua volta glielo riporgeva. Ben sapeva ora, K, che sarebbe stato suo dovere afferrare lui il coltello che gli passava sopra da una mano all'altra, e infilzarsi. Tuttavia non lo fece, invece girò il collo ancor libero e guardò in giro. Non seppe privare del tutto le autorità del loro lavoro, di quest'ultima pecca portò la responsabilità chi gli aveva negato quel rimasuglio di forza necessaria. I suoi sguardi caddero sull'ultimo piano dell'edificio confinante con la cava. Le imposte d'una finestra, là, si scambiavano come una luce sfolgorante reciproca, un uomo, debole, minuto, lontano lassù, si sporse parecchio in avanti e stese ancor di più le braccia. Chi era? Un amico? Un brav'uomo? Uno che simpatizzava? Uno che intendeva esser d'aiuto? Era una persona isolata? Lo erano tutti? C'era ancora possibilità d'aiuto? C'erano obbiezioni di cui ci si era dimenticati? Certo ve n'erano. La logica è sì salda, ma a un uomo che vuol vivere, essa non si oppone. Dov'era il giudice che lui non aveva mai visto? Dov'era l'alta corte cui lui mai era arrivato? Alzò le mani e divaricò le dita.
Le mani di uno dei due signori furono sulla gola di K, l'altro gli piantò il coltello nel cuore e ce lo rigirò dentro due volte. Mentre gli occhi gli si spegnevano K vide ancora come prossimi al suo volto quei due, guancia a guancia, controllavano la corretta esecuzione del verdetto. “Come un cane!”, lui disse, come se la vergogna dovesse sopravvivergli.

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