venerdì 12 giugno 2020

Franz Kafka: Il processo - 8


Block, commerciante
Licenziamento dell'avvocato

Alla fine K aveva deciso di ritirare la procura all'avvocato. Non mancavano certo dubbi circa la giustezza di agire in quel modo, ma prevalse la costrizione della necessità. La decisione lo aveva privato, il giorno in cui si dispose ad andare dall'avvocato, di molta energia lavorativa, lavorò in modo particolarmente lento, dové restare molto a lungo in ufficio ed erano già passate le 10 quando finalmente fu davanti alla porta dell'avvocato. Ancor prima di suonare rifletté se non fosse meglio licenziare l'avvocato per telefono o con una lettera, parlarci di persona sarebbe stato certo molto spiacevole. Nonostante ciò K in definitiva non voleva rinunciare al colloquio, con ogni altra modalità il licenziamento sarebbe stata accolto in silenzio o con poche parole formali, né K avrebbe mai saputo, se non avesse potuto diciamo sondare Leni, come l'avvocato l'avesse presa e qual mai conseguenza per K potesse avere questo licenziamento secondo l'opinione non irrilevante dell'avvocato. Nel caso invece che, seduto davanti a K, l'avvocato fosse rimasto sorpreso dal licenziamento, K avrebbe potuto facilmente apprendere dalla sua faccia e dal suo atteggiamento tutto quel che voleva, anche se l'avvocato non si fosse fatto strappare granché. Addirittura non era escluso che K venisse convinto del fatto che invece era bene lasciare la difesa all'avvocato, e ritirasse il licenziamento.
La prima scampanellata fu come al solito a vuoto. “Leni potrebbe essere più svelta”, pensò K. Era tuttavia già un vantaggio se il resto dei pigionali non s'immischiavano come al solito, che si trattasse dell'uomo in vestaglia o di qualche altro scocciatore. Mentre K premeva per la seconda volta il pulsante guardò dietro di sé l'altra porta, ma stavolta anch'essa restò chiusa. Finalmente apparvero allo spioncino della porta dell'avvocato due occhi, ma non erano quelli di Leni. Qualcuno aprì la porta, ma vi si appoggiò ancora contro, per il momento, e gridò “è lui” in direzione dell'appartamento; solo allora aprì del tutto. K s'era addossato alla porta, difatti già sentiva che dietro di sé alla porta dell'altro appartamento la chiave veniva girata in fretta nella serratura. Per cui quando finalmente gli si aprì davanti la porta lui addirittura si precipitò nell'anticamera riuscendo a vedere che nell'andito divisorio tra le stanze Leni, la destinataria del grido di avviso, scappava in camicia. La guardò per un attimo e poi si voltò verso chi aveva aperto. Era un omino secco con la barba, e reggeva una candela. “Lavorate qui?” chiese K. “No”, rispose quell'uomo, “non sono di casa, l'avvocato è solo mio difensore, mi trovo qui per motivi legali.” “Senza giacca?” chiese K muovendo una mano a indicare l'inadeguato abbigliamento di quell'uomo. “Oh, perdonatemi”, disse quello facendo luce con la candela su di sé, come se vedesse solo ora il proprio stato. “Leni è la vostra amante?” chiese sintetico K. Aveva le gambe un po' divaricate, febbrili le mani con cui teneva il cappello, dietro di sé. Si sentiva molto superiore a quel magrolino già per il fatto di possedere un bel soprabito. “Dio mio”, disse quello alzando le mani davanti alla faccia a mo' di atterrita protezione, “no, no, ma cosa vi viene in mente?” “Sembrate credibile”, disse K sorridendo, “comunque – venite.” Con il cappello gli fece un cenno e lo fece andare avanti. “Ma come vi chiamate?” chiese K mentre procedevano. “Block, sono Block, commerciante”, disse il piccoletto voltandosi verso K mentre si presentava, ma K non gli permise di fermarsi. “E' il vostro vero nome?” chiese K. “Certo”, fu la risposta, “ma perché ne dubitate?” “Pensavo che poteste aver motivo di nasconderlo”, disse K. Si sentiva libero come avviene quando all'estero si parla con gente umile, tutto quel che ci riguarda lo si tiene per sé, si parla degli interessi altrui solo con indifferenza, si dà loro importanza ai nostri occhi, ma si può anche lasciarli perdere, a piacimento. Presso l'uscio dello studio dell'avvocato K si fermò, aprì e gridò al commerciante, che obbediente era andato oltre: “non così in fretta! Fatemi luce.” K pensava che Leni potesse essersi rimpiattata lì, fece in modo che il commerciante cercasse in ogni angolo, ma la stanza era vuota. Dinnanzi al ritratto del giudice K trattenne il commerciante per le bretelle. “Lo conoscete?” chiese indicando il quadro. Il commerciante alzò la candela, guardò ammiccando e disse: “è un giudice.” “Di grado elevato?” chiese K mettendosi di fianco al commerciante per osservare l'impressione che il quadro gli faceva. Questi guardò in su stupito e disse: “si tratta di un alto giudice.” “Non avete mica molto occhio”, disse K, “tra i giudici istruttori di basso grado lui è quello di grado più basso.” “Ora ricordo”, disse il commerciante abbassando la candela, “già l'ho sentito dire.” “E' naturale”, esclamò K, “stavo dimenticandomi che naturalmente dovete già averlo sentito dire.” “E perché poi, perché?” chiese il commerciante, intanto che spronato dalle mani di K si muoveva verso la porta. Oltre la quale, nell'andito, K disse: “ma lo sapete dove s'è nascosta Leni?” “Nascosta?” disse il commerciante, “no, potrebbe essere in cucina a preparare la minestra all'avvocato.” “Perché non lo avete detto prima?” chiese K. “Anzi, stavo per condurvici, ma mi avete richiamato indietro”, rispose il commerciante, come confuso da quegli ordini contraddittorii. “Credete davvero di essere molto furbo”, disse K, “conducetemi dunque!” Nella cucina K non era ancora mai stato, era sorprendentemente grande e riccamente attrezzata. Solo il fornello era grande il triplo dei normali fornelli, per altro non se ne vedevano punto i dettagli, difatti la cucina era illuminata solo da una piccola lampada appesa presso l'entrata. Al fornello c'era Leni in grembiule bianco come sempre, che svuotava delle uova in una pentola posta su un fuoco a spirito. “Buona sera Joseph”, disse, laterale il suo sguardo. “Buona sera”, disse K indicando con una mano una sedia, da una parte, su cui doveva sedersi il commerciante, cosa che questi fece. K invece si avvicinò tutto alla schiena di Leni, le si piegò su una spalla e chiese: “chi è quest'uomo?” Leni con una mano lo strinse mentre con l'altra rigirava la minestra, se lo attirò davanti e disse: “è un uomo da compiangere, un povero commerciante, un certo Block. Ti basta guardarlo.” Entrambi dettero un'occhiata. Il commerciante stava sulla sedia indicatagli da K, aveva la candela di cui la luce, che ora non serviva, era stata spenta con un soffio, e con un dito premeva lo stoppino per impedire che fumasse. “Tu eri in camicia”, disse K voltandole di nuovo la testa verso il fornello. Lei taceva. “E' il tuo amante?” chiese K. Lei stava allungando una mano verso la pentola, invece K gliele prese entrambe, le mani, e disse: “rispondi dunque!” lei disse: “vieni nello studio, ti spiegherò tutto.” “No”, disse K, “voglio che lo spieghi qui.” Gli si attaccò e voleva baciarlo, ma K se ne distolse e disse: “non voglio che tu ora mi baci.” “Joseph”, disse Leni in tono di preghiera eppur tuttavia guardandolo fermamente negli occhi, “non sarai geloso del signor Block?” “Rudi”, disse poi, rivolta al commerciante, “dammi una mano, lo vedi che mi s'incolpa, lascia perdere la candela.” Si sarebbe potuto pensare che lui non ci avesse badato, ma seguiva tutto. “Non saprei perché dovreste essere geloso”, disse, un po' riluttante. “Non lo so, in effetti”, disse K e guardò il commerciante con un risolino. Leni rise forte, approfittò della disattenzione di K per mettersi tra le sue braccia e mormorò: “Ora basta, lo vedi che razza di uomo è. Me lo sono preso un po' a cuore perché è un grosso cliente dell'avvocato, per nessun altra ragione. E tu? Vuoi parlare anche oggi con l'avvocato? Oggi sta molto male, ma se vuoi ti annuncio lo stesso. Tu resti con me stanotte, però, senza alcun dubbio. Non sei stato più da molto tempo qui, anche l'avvocato ha chiesto di te. Non trascurare il processo! Anch'io ho da comunicarti svariate cose che ho saputo. Ora però per prima cosa togliti il cappotto!” Lo aiutò a toglierselo, gli prese il cappello, corse in anticamera per appenderli, poi tornò e controllò la minestra. “Devo annunciarti prima, o prima devo portargli la minestra?” “Annunciami, prima”, disse K. Era irritato, aveva avuto inizialmente intenzione di discutere bene con Leni del suo caso, in particolare dell'intenzione di licenziare l'avvocato, ma la presenza del commerciante gliene aveva tolto la voglia. Ora però considerò la sua cosa troppo importante perché questo commerciante da quattro soldi dovesse intervenirvi in modo magari decisivo, per cui richiamò Leni, che già era nell'andito. “Portagli prima la minestra”, disse, “bisogna che si rimetta in forze per parlare con me, ne avrà bisogno.” “Anche voi siete un cliente dell'avvocato”, disse piano dal suo angolo il commerciante, come volesse fare una verifica. Che però non venne accolta bene. “E cosa ve ne importa?” disse K, e a Leni: “E tu, zitta.” “Allora gli porto prima la minestra”, disse Leni a K e versò la minestra in un piatto. “C'è da temere solo che si addormenti alla svelta, dopo mangiato si addormenta presto.” “Quel che gli dirò lo terrà sveglio”, disse K, aveva perdurante l'intenzione di lasciar intuire che lui progettava di discutere qualcosa d'importante con l'avvocato, voleva che Leni gli chiedesse cos'era e solo dopo intendeva chiederle un consiglio. Lei invece eseguì alla lettera gli ordini, e basta. Passandogli vicino con la scodella intenzionalmente lo urtò con delicatezza e mormorò: “quando avrà mangiato la minestra ti annuncio subito in modo che io possa averti di nuovo prima possibile.” “Vai, vai”, disse K. “Sii più gentile però”, disse lei e si diresse alla porta con la scodella.
K la seguì con lo sguardo; era dunque deciso definitivamente che l'avvocato sarebbe stato lasciato, davvero era meglio che lui prima non ne potesse parlare con Leni, che non aveva abbastanza presente l'insieme della faccenda e certo lo avrebbe sconsigliato; se stavolta gli avesse impedito di licenziare l'avvocato lui sarebbe rimasto inquieto e dubbioso e alla fine, dopo un certo tempo, avrebbe messo in atto la sua risoluzione, difatti essa era troppo stringente. Quanto prima l'avesse messa in atto tanto più danno sarebbe stato evitato. Forse però il commerciante aveva qualcosa da dire, in merito.
K si voltò, il commerciante non appena se ne accorse voleva alzarsi subito. “Restate seduto”, disse K spostando una sedia dov'era l'altro. “Siete un vecchio cliente dell'avvocato?” chiese K. “Sì”, disse il commerciante, “molto vecchio.” “Ma da quanti anni vi rappresenta?” chiese K. “Non so in che senso dite”, disse il commerciante, “nelle cause di diritto commerciale – io commercio cereali – l'avvocato mi rappresenta da quando ho iniziato, quindi da 20 anni; nel mio processo, cui probabilmente vi riferite, da più di 5 anni.” “Sì, da più di 5 anni”, proseguì, tirando fuori un vecchio portafogli, “qui ho annotato tutto, se volete vi dico la data precisa. E' difficile tenere a mente tutto. Il mio processo probabilmente è iniziato prima, iniziò poco dopo la morte di mia moglie, e lei è morta da più di 5 anni e mezzo.” K gli si avvicinò. “E così l'avvocato s'incarica anche di cause normali?” chiese. Il collegamento dei tribunali con le scienze giuridiche pareva a K tranquillante in modo straordinario. “Certo”, disse il commerciante e poi mormorò a K: “si dice addirittura che in queste cause legali egli sia più capace che nelle altre.” Poi però parve pentirsi di quello che aveva detto, mise una mano sulle spalle a K e disse: “vi prego, non mi tradite.” K gli dette un colpetto su una coscia per tranquillizzarlo e disse: “no, io non sono davvero un traditore.” “Mi spiego, è vendicativo”, disse il commerciante. “Non farà certo nulla contro un cliente tanto fedele”, disse. “Eh no”, fece il commerciante, ”quando gli gira male non fa nessuna differenza, comunque non è che io gli sia fedele, in effetti.” “E come?” chiese K. “Ve lo devo confessare?” chiese dubbioso il commerciante. “Penso che possiate permettervelo”, disse K. “Dunque”, disse il commerciante, “ve lo confesserò in parte, ma anche voi dovete dirmi un segreto, in modo che nei confronti dell'avvocato siamo pari.” “Siete molto cauto”, disse K, “ma io vi dirò un segreto che vi tranquillizzerà in pieno. In cosa consiste dunque la vostra infedeltà nei confronti dell'avvocato?” Il commerciante, incerto e in un tono come se confessasse qualcosa di disonesto, disse:”ci ho un altro avvocato, oltre a lui.” “Non è mica una cosa tanto malvagia”, disse K un po' deluso. “In questa sede sì”, disse il commerciante - per via della sua confessione respirava ancora a fatica, ma dopo l'osservazione di K riacquistò fiducia. “Non è consentito. E assolutamente non è consentito assumere oltre a un avvocato, diciamo così, anche uno pseudoavvocato. E io ho fatto proprio questo, ne ho 5 di pseudoavvocati.” “Cinque!” esclamò K, stupefatto dal numero, “cinque oltre a questo?” Il commerciante annuì: “e sono in trattativa anche con un 6°.” “Ma che ve ne fate di tutti questi avvocati?” chiese K. “Mi servono tutti”, disse il commerciante. “Non volete spiegarmelo?” chiese K. “Volentieri”, disse il commerciante. “Prima cosa non voglio perdere il mio processo, il che è evidente. Di conseguenza non mi posso permettere di trascurare nulla che potrebbe essermi utile; anche se la speranza di una utilità, in un certo caso, è minima, non posso rifiutarla. Ecco perché ho investito tutto quello che possiedo nel processo. Così ho disinvestito tutti i soldi dal mio commercio, per esempio; prima i miei uffici riempivano quasi un piano, oggi basta una stanzetta sul retro dove lavoro con un apprendista. Tale arretramento ha causato com'è naturale non solo il disinvestimento dei soldi, ma anche quello della mia energia dal lavoro. Se si vuol fare qualcosa per il proprio processo, ci si può occupare del resto solo poco.” “Dunque anche voi avete da penare col tribunale?” chiese K. “E' proprio quello su cui mi piacerebbe sapere qualcosa.” “Ne so ben poco”, disse il commerciante, “all'inizio ci ho anche provato, a informarmi, ma presto ci ho rinunciato. E' troppo faticoso e non ha successo. Darsi da fare e negoziare, anche sul posto, almeno per me si è dimostrato come assolutamente impossibile. Già il puro e semplice star seduti in attesa sfinisce. Certo lo sapete che aria pesante c'è negli uffici di cancelleria.” “Ma come lo sapete che io ci sono stato?” chiese K. “Per l'appunto mi trovavo nella stanza di attesa quando voi siete passato di lì.” “Ma che combinazione!” esclamò K, tutto preso e dimentico della precedente ridicolezza del commerciante, “dunque mi avete visto. Eravate nella stanza di attesa quando ci sono passato. Certo che ci sono passato, una volta.” “Non è una combinazione così notevole”, disse il commerciante, “ci sono quasi ogni giorno, lì.” “Io ora dovrò andarci, è probabile anche più volte”, disse K, “solo che sarà difficile che io venga ricevuto con tutti gli onori come allora. Tutti si alzarono. Si pensava certo che fossi un giudice.” “No”, disse il commerciante, “quella volta si salutò l'usciere. Lo sapevamo che voi eravate un imputato. Notizie simili fanno molto presto a diffondersi.” “Dunque già lo sapevate”, disse K, “allora però la mia condotta forse vi sembrò arrogante. Lo si disse?” “No”, disse il commerciante, “al contrario. Ma si tratta di sciocchezze.” “Sciocchezze in che senso?”, chiese K. “Perché lo volete sapere?” disse il commerciante seccato, “pare che ancora non conosciate quella gente lì, e magari finireste per non capire. Dovete tener presente che in questo tipo di procedimenti non si smette mai di parlare di molte cose cui la capacità di comprensione non arriva, si è semplicemente troppo stanchi e distratti per capirle, tutte quelle cose, e al posto loro ci si applica alla superstizione. Parlo degli altri, ma anch'io non sono affatto migliore. Una superstizione del genere è per esempio voler cogliere il genere di conclusione del processo dal viso dell'imputato, in particolare dal disegno delle labbra. Quella gente dunque ha ritenuto di concludere dalle vostre labbra che sareste stato di certo condannato, e presto. E' una ridicola superstizione, ripeto, e nella maggioranza dei casi anche completamente contraddetta dai fatti, ma quando si vive in quella compagnia di persone è difficile sottrarsi a simili opinioni. Considerate solo quanto fortemente possa agire questa superstizione: avete parlato a uno lì, no? E quello riuscì a rispondervi a mala pena. Ci sono naturalmente molti motivi per essere confusi, in quel luogo, ma uno di questi motivi fu la vista delle vostre labbra. Più tardi quello ha riferito che lui aveva creduto di vedere sulle vostre labbra anche il segno della sua propria condanna.” “Le mie labbra?” chiese K, tirò fuori uno specchietto tascabile e vi si guardò. “Dalle mie labbra non riesco a riconoscere nulla di particolare. E voi?” “Nemmeno io”, disse il commerciante, “assolutamente.” “Quant'è superstiziosa quella gente!” esclamò K. “Non ve lo dissi io?” chiese il commerciante. “Si frequentano tanto tra di loro per cui si scambiano le loro opinioni?” disse K. “Io finora mi sono tenuto del tutto in disparte.” “In generale non si frequentano tra loro”, disse il commerciante, “non sarebbe possibile, sono talmente numerosi. E ci sono anche pochi interessi in comune. Se talvolta in un gruppo emerge la credenza circa un interesse comune ciò presto si dimostra un errore. Nulla in comune ha luogo a dispetto del tribunale. Ogni caso viene istruito separatamente, si tratta davvero del tribunale più accurato. Nulla in comune dunque ha luogo a dispetto del tribunale, solo un singolo ottiene talvolta qualcosa, in segreto; lo vengono a sapere gli altri solo in seguito; nessuno sa com'è successo. Non v'è dunque alcuna comunanza, certo, di tanto in tanto ci si raduna nelle stanze d'attesa, ma lì si conversa poco. Le opinioni superstiziose esistono già dai tempi antichi e si moltiplicano da sé, in pratica.” “Vidi quei signori nella stanza d'attesa”, disse K, “ebbi l'impressione che attendessero così invano.” “Non è vana l'attesa”, disse il commerciante. “Vano è solo intervenire in modo indipendente. Già dissi che ora oltre a questo ho altri 5 avvocati. Se ne dovrebbe concludere – io stesso all'inizio lo feci – che io ora dovrei lasciar loro la causa, interamente. Tuttavia ciò sarebbe falso. Io posso delegare loro meno che se ne avessi uno solo. Lo capite bene, no?” “No”, disse K, e per frenare il troppo rapido discorso del commerciante, gli mise una mano su una mano, per placarlo, “vorrei pregarvi di parlare più lentamente, si tratta di cose molto importanti per me, è chiaro, e non riesco a seguire com'è giusto.” “E' bene che voi me lo ricordiate”, disse il commerciante, “certo siete un novizio, un giovane. Il vostro processo risale a mezzo anno fa, nevvero? Ne ho già sentito parlare. Un processo talmente giovane! E invece io a queste cose ci ho pensato innumerevoli volte, sono quanto di più evidente ci sia al mondo.” “Vi fa piacere che il vostro processo sia in tale stato di avanzamento?” chiese K, che non voleva arrivare a chiedere come stessero le cose del commerciante. Non ebbe però alcuna chiara risposta. “Sì, tiro la carretta del mio processo da 5 anni”, disse il commerciante e abbassò la testa, “non è mica un'impresa da poco.” Poi fece una pausa in silenzio. K allungò le orecchie, tante volte non arrivasse Leni. Non voleva che venisse, da una parte, difatti aveva molte domande da fare, né desiderava venir trovato da Leni in quel colloquio confidenziale con il commerciante, d'altra parte era seccato per il fatto che lei, nonostante la sua presenza, restava tanto a lungo presso l'avvocato, molto più di quanto servisse a servirgli la minestra. “Mi ricordo ancora bene”, ricominciò il commerciate subito ricatturando l'attenzione di K “dell'epoca in cui il mio processo aveva all'incirca l'età che ha ora il vostro. Allora avevo solo quest'avvocato, ma non ero molto soddisfatto di lui.” “Ora io imparo ogni cosa, qui”, pensò K annuendo vivacemente come se in quel modo potesse incoraggiare il commerciante a dire tutto quel che contava. “Il mio processo”, seguitò il commerciante, “non procedeva, certo avevano luogo assise istruttorie, io ero presente a tutte, raccoglievo materiale, tenevo in regola tutta la mia contabilità presso il tribunale, cosa che come più tardi appresi non era nemmeno necessaria, non facevo che correre dall'avvocato e lui presentava svariate istanze ...” “Svariate istanze?” chiese K. “Sì, certo”, disse il commerciante. “Questo per me è molto importante”, disse K, “nel mio caso lui sta ancora lavorando alla prima istanza. Ancora non ha fatto niente. Mi trascura in modo vergognoso.” “Che l'istanza non sia ancora pronta, può avere diversi giustificati motivi”, disse il commerciante. “Del resto più tardi si è dimostrato che erano del tutto senza valore. Ne ho addirittura letta io stesso una per la compiacenza di un funzionario del tribunale. Era certo erudita, ma in effetti priva di contenuto. Prima di tutto moltissimo latino, che io non capisco, poi paginate di generici appelli al tribunale, poi lusinghe rivolte a singoli funzionari, certo non nominati, ma che comunque un iniziato era costretto a indovinare, poi autoglorificazione dell'avvocato, laddove egli si umiliava in modo addirittura canino al cospetto del tribunale, infine riferimenti a casi giuridici del passato che dovevano essere simili al mio. Certo erano riferimenti, nei limiti in cui riuscivo a seguirli, eseguiti con grande accuratezza. Con tutto ciò non voglio giudicare affatto il lavoro dell'avvocato, del resto l'istanza che ho letto era solo una tra diverse altre, comunque, e di questo intendo parlare ora, io allora non riuscii a vedere alcun passo avanti nel mio processo.” “Ma quale passo avanti volevate vedere?” chiese K. “Domanda ragionevole, la vostra”, disse il commerciante con un risolino, “in questo tipo di procedimenti si riescono a vedere solo rari passi avanti. Allora però non lo sapevo. Sono un commerciante e ai tempi lo ero più di ora, volevo progressi tangibili, il tutto doveva da sé volgere alla fine o almeno procedere in modo regolare. E invece c'erano solo udienze che per lo più avevano lo stesso contenuto; le risposte le avevo già pronte, a litania; più volte ogni settimana messi del tribunale venivano nel mio ufficio, nella mia abitazione o dove riuscivano a incontrarmi, ciò com'è naturale era seccante (oggi almeno da questo punto di vista va molto meglio, la chiamata telefonica disturba molto meno), anche tra i miei colleghi in affari, e in special modo tra i miei parenti cominciarono a diffondersi voci in merito al mio processo, ciò provocò danni molteplici, tuttavia non v'era il minimo indizio che indicasse che avrebbe avuto luogo prossimamente anche soltanto il primo dibattimento in tribunale. Andai quindi dall'avvocato e mi lamentai. Certo mi dette lunghe spiegazioni, ma si rifiutò deciso di far qualcosa secondo quel che pensavo io, nessuno poteva influire sulla data del dibattimento, inserire in un'istanza tale questione – come desideravo – era semplicemente inaudito e avrebbe rovinato me e lui. Pensai: ciò che questo avvocato non vuole o non può, lo vorrà o potrà un altro. Cercai dunque un altro avvocato. Voglio subito anticiparlo: nessuno ha chiesto od ottenuto che fosse stabilito l'inizio del dibattimento, ciò è, certo con una eccezione di cui ancora parlerò, davvero impossibile, in relazione a ciò dunque questo avvocato non mi ha deluso; del resto tuttavia non ebbi da rammaricarmi di essermi rivolto anche a un altro avvocato. E' possibile che abbiate sentito parlare parecchio, da parte del dottor Huld, degli pseudoavvocati, probabile che ve li abbia descritti come molto spregevoli, e veramente essi lo sono. Tuttavia gli sfugge sempre, quando ne parla e paragona a loro sé e i suoi colleghi, un piccolo errore su cui voglio attirare, di passaggio, anche la vostra attenzione. Lui definisce gli avvocati della sua cerchia, per distinguerli, i 'grandi avvocati'. Ciò è falso. Com'è naturale ognuno può definirsi 'grande', se gli garba, ma in questo caso decide soltanto l'usanza del tribunale. Stando a essa, mi spiego, ci sono, a parte gli pseudoavvocati, anche i piccoli e i grandi avvocati. Quest'avvocato qui e i suoi colleghi sono però solo piccoli avvocati, i grandi avvocati, di cui ho solo sentito parlare e che mai ho visto, hanno un rango senza confronti più alto, rispetto ai piccoli avvocati, di quanto i piccoli avvocati lo abbiano rispetto ai disprezzati pseudoavvocati.” “I grandi avvocati?” chiese K. “E chi sarebbero? Come ci si arriva?” “Voi dunque non ne avete mai sentito parlare”, disse il commerciante. “A mala pena c'è un imputato che, dopo esserne stato informato, non se li sogni per un po' di tempo. Meglio che non vi facciate sedurre da ciò. Chi siano i grandi avvocati non lo so, né ci si può neppure arrivare. Non conosco alcun caso in cui si possa dire che essi siano intervenuti. Difendono parecchia gente, ma di propria volontà non ci si perviene, essi difendono solo chi vogliono difendere. La causa che si assumono deve tuttavia risultare di livello superiore al tribunale di basso grado. Per il resto è meglio non pensare a loro, altrimenti i colloqui con gli altri avvocati, i loro consigli e la loro assistenza, a uno appaiono talmente stomachevoli e inutili, io l'ho imparato da solo, che quando va bene si vorrebbe buttar via tutto, mettersi a letto e non sentirne più. Ciò com'è naturale sarebbe di nuovo la cosa più stupida, neppure a letto si riposerebbe a lungo.” “Dunque non pensaste, ai tempi, ai grandi avvocati?” chiese K. “Non a lungo”, disse il commerciante facendo un nuovo risolino, “dimenticarseli completamente purtroppo non si può, specie di notte pensarci rinfranca. Tuttavia ai tempi io desideravo un risultato immediato, per cui andai dagli pseudoavvocati.”
Ma come state seduti vicini!” esclamò Leni, che era tornata con la scodella e sostava sulla porta. In effetti sedevano vicinissimi, al minimo movimento erano costretti a urtarsi con le teste, il commerciante che, a parte la sua piccolezza, teneva anche le palle curve, aveva costretto anche K a chinarsi parecchio, se voleva sentire ogni parola. “Ancora un momento”, gridò K per fermare Leni e mosse con impazienza la mano che aveva continuato a tenere su una mano del commerciante. “Voleva che gli riferissi del mio processo”, disse il commerciante a Leni. “Riferisci pure, riferisci”, disse lei. Parlava con affetto al commerciante, eppur tuttavia con degnazione, a K questo dispiacque; come ora aveva capito, quell'uomo non mancava di un certo valore, per lo meno aveva esperienze che sapeva comunicare bene. Leni probabilmente lo giudicava male. La guardò seccato per come gli levava la candela che il commerciante aveva tenuto stretta per tutto il tempo, gli puliva col grembiule la mano e gli s'inginocchiava accanto per grattar via un po' di cera che gli era sgocciolata sui calzoni. “Mi stavate raccontando degli pseudoavvocati”, disse K levando la mano di Leni risoluto. “Ma che vuoi?” chiese Leni tentando di colpire leggermente K e continuando quel che faceva. “Certo, degli pseudoavvocati”, disse il commerciante e si passò una mano sulla fronte, come per riflettere. K gli venne in aiuto e disse: “volevate un successo rapido per cui andaste dagli pseudoavvocati.” “Proprio così”, disse il commerciante, ma non continuò. “Forse non vuole parlarne davanti a Leni”, pensò K, represse la sua impazienza di sentire subito il resto e non insisté oltre.
Mi hai annunciato?” chiese a Leni. “Certo”, disse lei, “ti aspetta. Ora lascia stare Block, ci puoi parlare dopo, lui rimane qui.” K indugiava ancora. “Restate qui?” chiese al commerciante, voleva aver risposta da lui, non voleva che Leni ne parlasse come di un assente, oggi verso di lei era pieno di una rabbia segreta. Di nuovo, però, rispose solo Leni: “dorme spesso qui.” “Dorme qui?” esclamò K, aveva pensato che il commerciante sarebbe stato ad aspettare solo lui mentre avrebbe alla svelta finito di parlare con l'avvocato, poi però sarebbero andati via insieme e avrebbero parlato a fondo e indisturbati di tutto. “Sì”, disse Leni, “non è che tutti come te, Joseph, vengono fatti passare dall'avvocato quando vogliono. Non sembri proprio stupito del fatto che l'avvocato nonostante che stia male ti riceva alle 11 di sera. Dai quello che i tuoi amici fanno per te troppo per scontato. Ora, i tuoi amici lo fanno, o almeno io lo faccio volentieri. Non voglio alcun altro grazie, né mi serve, se non che tu mi abbia a cuore.” “Avere a cuore te?” si chiese lì per lì K, poi ci pensò meglio, “ma sì, la ho a cuore.” Tuttavia disse, trascurando il resto: “mi riceve perché sono suo cliente. Se anche per camminare servisse l'aiuto altrui, a ogni passo si dovrebbe insieme pregare e dir grazie.” “E' davvero cattivo oggi, nevvero?” chiese Leni al commerciante. “Ora sono io l'assente”, pensò K e s'incattivì quasi con il commerciante quando questi, adottando la scortesia di Leni, disse: “l'avvocato lo riceve anche per altri motivi. Voglio dire, il suo caso è più interessante del mio. Inoltre il suo processo è all'inizio, dunque probabilmente ancora non molto imbrogliato, per cui l'avvocato ci s'impegna ancora volentieri. Più avanti cambierà.” “Sì sì”, disse Leni e guardò con un sorrisetto il commerciante, “quanto chiacchiera lui. Guarda”, disse rivolgendosi a K, “non gli credere proprio. Tanto è caro, quanto è chiacchierone. Forse per questo l'avvocato non lo può soffrire. Comunque lo riceve solo se ne ha voglia. Mi sono sforzata tanto per cambiare questa cosa, ma è impossibile. Pensa, capita che io annunci Block, e lui lo riceve solo dopo 3 giorni. Ma se Block nel momento in cui viene chiamato non è presente tutto è perduto e lui deve di nuovo essere annunciato. Ecco perché gli ho dato il permesso di dormire qui, è già successo che l'avvocato abbia suonato per lui durante la notte. Dunque Block è pronto, ora, anche di notte. Per dir la verità ora capita di nuovo che l'avvocato, se risulta che Block sia qui, talvolta non confermi l'ordine di farlo passare.” K guardò interrogativo il commerciante. Questi annuì e, chiaro come aveva parlato prima con K, disse, forse distratto a causa della vergogna: “sì, col tempo si diventa molto dipendenti dal proprio avvocato.” “Si rammarica solo in apparenza”, disse Leni. “Dorme qui molto volentieri, come già spesso mi ha confessato.” Andò a una porticina e la spinse. “Vuoi vedere la sua stanza da letto?” chiese. K ci andò e dalla soglia guardò l'interno di un locale basso privo di finestra completamente occupato da un lettino su cui si era costretti a salire scavalcandone la spalliera. Dalla parte della testiera c'era una rientranza nel muro in cui, meticolosamente ordinati, si trovavano una candela, penna e calamaio, e un fascio di carte, probabili scritti processuali. “Dormite nella camera da letto della ragazza di servizio?” chiese K voltandosi verso il commerciante. “Leni me l'ha ceduta”, rispose il commerciante, “è molto comoda.” K lo guardò a lungo; la prima impressione che il commerciante gli aveva fatto era dopotutto stata giusta; aveva esperienza per il fatto che il suo processo durava già da molto tempo, ma l'aveva pagata cara. D'improvviso K non resse più la vista del commerciante. “E portalo a letto”, gridò a Leni, che non sembrò neppure capire. Lui però intendeva andare dall'avvocato per licenziarlo e liberarsi non solo di lui, ma anche di Leni e del commerciante. Ancor prima che fosse arrivato alla porta, il commerciante gli si rivolse a voce bassa: “signor procuratore.” K si girò incattivito. “Vi siete dimenticato la vostra promessa”, disse il commerciante proteso verso K, da dov'era seduto, con aria supplicante, “mi volevate dire un segreto.” “E' vero”, disse K sfiorando con uno sguardo Leni, che attenta lo guardava, “ascoltate dunque, e quasi non si tratta più affatto di un segreto. Ora vado dall'avvocato per licenziarlo.” “Lo licenzia, lui!”, esclamò il commerciante, saltò giù dalla sedia e corse in giro nella cucina, le mani sollevate. Seguitava e gridare: “licenzia l'avvocato!” Leni intendeva buttarsi subito su K, ma il commerciante le andò tra i piedi, per cui si prese un pugno. Ancora con le mani strette a pugno Leni si buttò poi dietro a K, che però era già balzato molto oltre. Quasi entrato nella camera dell'avvocato, Leni andò a riprenderlo. Lui aveva quasi chiuso la porta dietro di sé, ma Leni, tenendo uno spiraglio aperto con un piede, lo prese per un braccio e voleva tirarlo indietro. Lui però le strinse il polso con tanta forza che lei fu costretta a lasciarlo, gemendo. Né osò entrare subito nella camera, e K chiuse la porta a chiave.
Vi attendo già da molto”, disse l'avvocato dal letto, appoggiò sul tavolino da notte un documento che aveva letto alla luce di una candela, e si mise gli occhiali con cui guardò severo K. Invece di scusarsi K disse: “me ne vado via presto.” Senza fare attenzione a quel che aveva detto K, che non era affatto una giustificazione, egli disse: “non vi farò più passare in futuro a un'ora così tarda.” “Ciò si accorda con quel che desidero”, disse K. L'avvocato lo guardò interrogativo. “Sedetevi”, disse. “Se volete”, disse K, spinse una sedia vicina al tavolino da notte e si accomodò. “Mi sembra che abbiate chiuso la porta a chiave”, disse l'avvocato. “Sì”, disse K, “per via di Leni”. Pareva intenzionato a non fare sconti. L'avvocato tuttavia chiese: “E' stata di nuovo invadente?” “Invadente?” chiese K. “Sì”, disse l'avvocato, rise, ebbe un accesso di tosse e, finito di tossire, ricominciò a ridere. “Ma non ci avete già fatto caso alla sua invadenza?” chiese, e dette un colpetto sulla mano che K, perplesso, aveva appoggiato sul tavolino da notte e che ora svelto tirò indietro. “Non date molta importanza alla cosa”, disse l'avvocato, visto che K taceva, “tanto meglio. Altrimenti avrei forse dovuto scusarmi con voi. Si tratta di una particolarità di Leni, del resto è tanto che la vizio, non ne parlerei se proprio ora voi non aveste chiuso la porta a chiave. Certo questa particolarità dovrei spiegarla a voi meno che a tutti, ma mi guardate così costernato per cui lo faccio, questa particolarità consiste nel fatto che Leni trova belli quasi tutti gli imputati. Si affeziona a tutti, ama tutti e comunque pare che da tutti venga amata; per intrattenermi poi capita spesso che me ne faccia il resoconto, se glielo permetto. Non sono stupito dall'intera cosa come sembrate esserlo voi. A ben guardare spesso troviamo gli imputati davvero belli. Si tratta certo di uno strano fenomeno della scienza naturale, diciamo. All'incirca sopravviene, come conseguenza dell'accusa, è ovvio, non proprio un mutamento chiaro dell'aspetto, preciso. Non è però come nelle altre faccende del tribunale: i più restano nel loro abituale modo di vivere e, se hanno un bravo avvocato che si preoccupa di loro, non vengono molto impediti dal processo. Ciò nonostante coloro che hanno esperienza in materia sono in grado di riconoscere nella più gran massa i singoli imputati, uno per uno. Da cosa? - voi chiederete. La mia risposta non vi soddisferà. Gli imputati sono per l'appunto i più belli. Non può esser la colpa che li rende belli, difatti – così devo dire, almeno, come avvocato – non sono tutti colpevoli, non può essere nemmeno la futura pena a renderli belli, ora, difatti non divengono tutti oggetto di pena, dunque ciò può risiedere solo nel procedimento contro di loro intentato, che in qualche modo gli resta addosso. Certo tra i belli ve n'è di belli in particolare. Tuttavia tutti sono belli, anche Block, questo misero verme.”
K era, quando l'avvocato ebbe finito, completamente preso, aveva perfino annuito in modo vistoso alle ultime parole e aveva messo in dubbio anche la sua vecchia opinione, che l'avvocato cercava sempre, anche stavolta, con discorsi generali che non c'entravano con la causa, di distrarlo e di distoglierlo dalla questione principale, ciò che lui aveva fatto davvero per la causa di K. L'avvocato vide bene che stavolta K gli opponeva più resistenza del solito, difatti tacque per dare a K la possibilità di parlare anche lui, poi, dato che non diceva nulla, gli chiese: “oggi siete venuto da me con un'intenzione precisa?” “Sì”, disse K e mise una mano davanti alla candela per vedere meglio l'avvocato, “volevo dirvi che con oggi vi ritiro il patrocinio.” “Sto capendovi bene?”, chiese l'avvocato, si sollevò a metà sul letto appoggiandosi con una mano ai cuscini. “M'immagino di sì”, disse K che stava seduto rigidamente eretto e come all'erta. “Ora, noi possiamo discutere anche di questo progetto”, disse l'avvocato dopo una pausa. “Non è più assolutamente un progetto”, disse K. “Può essere”, disse l'avvocato, “non precipitiamo, però.” Usava la parola “noi” come se non avesse intenzione di liberare K e come se volesse, anche non essendo più suo difensore, almeno restare suo consigliere. “Non precipitiamo affatto”, disse K, lentamente si alzò e passò dietro la sua sedia, “ci ho riflettuto bene e forse perfino troppo a lungo. La decisione è definitiva.” “Allora consentitemi solo qualche altra parola”, disse l'avvocato, tolse via il piumino e si mise sulla sponda del letto. Le gambe nude dai peli bianchi tremavano di freddo. Pregò K di prendergli una coperta dal canapè. K la prese e disse: “vi esponete a raffreddarvi senza alcuna necessità.” “La ragione è abbastanza importante”, disse l'avvocato ricoprendosi la parte superiore del corpo con il piumino e avviluppandosi le gambe nella coperta. “Vostro zio è mio amico e anche voi col tempo mi siete divenuto caro. Lo ammetto sinceramente. Non ho bisogno di vergognarmene. “ Tali parole sentimentali di quel vecchio furono assai moleste per K, difatti lo costringevano a una spiegazione estesa che volentieri avrebbe evitato e inoltre lo mettevano in imbarazzo, come sinceramente ammise con se stesso, anche se certo non potevano mai farlo retrocedere dalla decisione presa. “Vi ringrazio della vostra gentile disposizione d'animo”, disse, “riconosco anche che voi vi siete assunto la mia causa tanto quanto vi è possibile e a mio vantaggio, come a voi sembra. Io però da ultimo mi sono convinto che ciò non basta. Com'è naturale non cercherò mai di mettermi a convincere della mia opinione un uomo tanto anziano ed esperto; se talvolta senza volerlo ci ho provato, perdonatemi, la causa però, come voi stesso vi esprimeste, è abbastanza importante e, secondo la mia convinzione, è necessario intervenire nel processo con molta più energia di quanto è avvenuto fin qui.” “Capisco”, disse l'avvocato, “siete impaziente.” “Non sono impaziente”, disse K leggermente risentito e senza badare più tanto a quel che diceva. “In occasione della mia prima visita, quando venni insieme a mio zio, forse avete notato che del processo non m'importava molto; se non me lo ricordavano per forza, io me lo dimenticavo completamente. Tuttavia lo zio insisteva che vi affidassi il mio patrocinio, e lo feci per essergli ben accetto. Ci si sarebbe ora aspettati che il processo si facesse più facile di prima, per me, difatti si affida il patrocinio all'avvocato per liberarsi un po' del peso del processo. Ma è avvenuto l'opposto. Mai prima io ebbi tanto grandi preoccupazioni a causa del processo come da quando mi rappresentate voi. Quand'ero da solo non prendevo alcuna iniziativa circa la mia causa, ma a mala pena me ne accorgevo, ora invece avevo un patrocinatore, tutto era indirizzato al fine che avvenisse qualcosa, di continuo e sempre con maggior tensione aspettavo che voi interveniste, ma ciò tardava. Ricevetti certo da voi svariate comunicazioni sul tribunale che forse da nessun altro avrei potuto ricevere. Tuttavia ciò non può bastarmi quando ora il processo, praticamente in segreto, mi si accosta sempre più.” K s'era liberato della sedia e stava lì con le mani nelle tasche della giacca. “Da un certo momento dell'azione in poi”, disse piano e tranquillo l'avvocato, “non avviene più nulla di essenzialmente nuovo. Quante parti si sono, come voi, in simili stadi del processo presentate davanti a me ed hanno parlato come voi!” “E hanno, tutte queste parti, avuto ragione”, disse K, “come me. Ciò non mi confuta.” “Non volevo confutarvi”, disse l'avvocato, “intendevo aggiungere che da voi mi sarei atteso più capacità di giudizio che da altri, specie perché vi ho spiegato il carattere del tribunale e della mia pratica più di quanto altrimenti faccio con le parti. E ora sono costretto a vedere che nonostante tutto non vi fidate abbastanza di me. Non mi venite incontro.” Come si umiliava l'avvocato davanti a K! Non aveva alcun riguardo per l'onore della categoria che, certo in questi momenti, è il più sensibile. E perché lo faceva? In apparenza era un avvocato con molto lavoro e inoltre un uomo ricco, non poteva importargli molto in sé e per sé né del danno economico né della perdita di un cliente. Inoltre era di salute cagionevole e avrebbe dovuto tenere in buona considerazione il fatto che gli fosse risparmiato del lavoro. Eppure si teneva stretto K. Perché? Si trattava di partecipazione personale nei confronti dello zio, o davvero lui vedeva il processo di K come veramente tanto straordinario e sperava di segnalarsi, a K o – possibilità quasi mai da escludere – agli amici presso il tribunale? Impossibile indovinare qualcosa guardandolo, anche nel modo sfacciatamente inquisitorio di K. Si sarebbe potuto quasi supporre che l'avvocato aspettasse l'effetto delle sue parole con una faccia intenzionalmente inespressiva. Tuttavia era chiaro che interpretava il silenzio di K in modo troppo positivo, ai suoi fini, quando riprese a parlare: “avrete notato che ho certo un grosso ufficio, ma che non ho assistenti. Prima era diverso, una volta alcuni giovani laureati in giurisprudenza lavoravano per me, oggi lavoro da solo. Ciò dipende in parte dal cambiamento del mio operare, limitato sempre più a questioni giuridiche del tipo della vostra, in parte dalla conoscenza sempre più approfondita tratta da tali questioni giuridiche. Trovai che non mi era lecito lasciare tale lavoro a nessuno se non intendevo mancare nei confronti dei miei clienti e alla funzione che mi ero assunto. La decisione però di adempiere di persona a tutto il lavoro ebbe le naturali conseguenze: fui costretto a rifiutare quasi tutte le richieste di patrocinio e potei cedere solo a quelle che mi premevano specialmente – e c'è gente da poco, perfino vicino a me, che si precipita su ogni briciola che io butti via. Senza contare che l'eccesso di fatica mi rese ammalato. Ciò nonostante non mi pento della mia decisione, forse avrei dovuto rifiutare più patrocini di quel che ho fatto, che però io mi sia dato completamente ai processi assunti è divenuto con assoluta necessità evidente ed è stato ripagato dai successi. Una volta in uno scritto ho trovato assai ben espressa la differenza che c'è tra il patrocino nelle questioni giuridiche normali e il patrocinio in questioni giuridiche come quelle che ho scelto. Eccola: l'un avvocato trae il suo cliente, con un filo di refe, fino alla sentenza, l'altro subito se lo mette sulle spalle e lo porta fino alla sentenza, e oltre, senza deporlo. E' così. Tuttavia non era del tutto giusto quando dicevo che non mi pento mai di questa gran fatica. Quando essa, com'è nel vostro caso, viene così completamente disconosciuta, be', allora quasi mi pento.” K venne reso da quel discorso più impaziente che non convinto. In qualche modo ritenne di individuare, udendo la cadenza del tono dell'avvocato, che cosa lo aspettava se avesse ceduto: sarebbero ricominciate le promesse, i riferimenti ai progressi dell'istanza, alla migliore disposizione d'animo dei funzionari del tribunale, ma anche alle grandi difficoltà che si opponevano al lavoro – in breve sarebbe stato tirato in ballo tutto ciò che era noto fino alla nausea allo scopo di illudere ancora K con imprecisate speranze e tormentarlo con imprecisate minacce. Ciò doveva venir impedito in modo definitivo, per cui K disse: “Che cosa intendete intraprendere in merito alla mia causa, qualora conserviate il patrocino?” L'avvocato si rassegnò perfino a quella offensiva domanda e rispose: “andare avanti in ciò che ho già cominciato a fare per voi.” “Lo sapevo”, disse K, “ma ora parlarne ancora è inutile.” “Farò ancora un tentativo”, disse l'avvocato, quasi che quello che irritava K non avvenisse a K, ma a lui. “Mi spiego, ho l'impressione che voi veniate indotto dal fatto che vi si tratta, nonostante che siate imputato, troppo bene, o per meglio dire in modo negligente, con apparente negligenza, a giudizi sbagliati in merito non solo alla mia assistenza legale, ma anche in merito alla vostra condotta in genere. Ha un motivo anche il fatto che vi si tratti con negligenza; spesso è meglio essere in catene che liberi. Mi piacerebbe però mostrarvi come vengono trattati altri imputati, forse vi riesce trarne un insegnamento. Mi spiego, ora farò venire Block, aprite la porta e sedetevi qui presso il tavolino da notte. “ “Volentieri”, disse K facendo quel che aveva chiesto l'avvocato; a imparare era sempre pronto. Per sicurezza, caso mai, chiese: “avete però capito che vi ritiro la rappresentanza?” “Sì”, disse l'avvocato, “ma potete anche revocare tale atto oggi stesso.” Si rimise a letto, si tirò la trapunta fino al mento e si girò verso la parete. Quindi suonò.
Quasi insieme alla scampanellata apparve Leni, che cercò di capire con rapide occhiate che cosa fosse successo; che K sedesse tranquillo presso il letto dell'avvocato, parve placarne l'ansia. Annuì sorridendo a K, che la guardava fisso. “Va' a prendere Block”, disse l'avvocato. Invece di andarci Leni si mise davanti alla porta e chiamò: “Block! Dall'avvocato!” e sgattaiolò, forse perché l'avvocato restava voltato verso la parete disinteressandosi a tutto, dietro la sedia di K, iniziando a dargli noia; si protese oltre la spalliera della sedia, e gli passò le mani, d'altronde molto cauta e delicata, tra i capelli o sulle guance. Infine K cercò di impedirglielo, le afferrò una mano, e lei gliela abbandonò dopo un po' di resistenza.
Block era arrivato subito, al richiamo, ma restò sulla porta e parve che riflettesse, entrare o non entrare? Alzò le sopracciglia e piegò la testa come se stesse in attesa che venisse ripetuto il comando di venire dall'avvocato. K avrebbe potuto incoraggiarlo a entrare, ma si era proposto la rottura definitiva non solo con l'avvocato, ma con tutto ciò che era in quell'appartamento, di conseguenza restò immobile. Anche Leni taceva. Block vide che, almeno, nessuno lo cacciava via e in punta di piedi entrò, la faccia tesa, le mani contratte dietro la schiena. Aveva lasciato aperta la porta per magari ritirarsi. Non guardò affatto K, ma solo il piumino erto sull'avvocato che, spintosii vicinissimo alla parete, neppure era visibile. In quella se ne udì però la voce: “Block, sei qui?” chiese l'avvocato. La domanda di fatto fu per Block, che già era di nuovo retrocesso di un bel pezzo, una stoccata al petto e poi sulla schiena; vacillò, si fermò profondamente inchinato e disse: “a disposizione.” ”Cosa vuoi?” chiese l'avvocato, “vieni a sproposito.” “Non venni chiamato?” chiese Block più rivolto a se stesso che non all'avvocato, mise le mani avanti a mo' di difesa e fu pronto a squagliarsela. “Venisti chiamato”, disse l'avvocato, “ciò nonostante vieni a sproposito.” E dopo una pausa riprese: “vieni sempre a sproposito.” Dopo che l'avvocato aveva iniziato a parlare Block non guardava verso il letto, fissava invece lo sguardo verso un angolo, a caso, e si limitava a stare in ascolto, quasi che vedere chi parlava fosse troppo accecante per poterlo sopportare. Era dura anche stare in ascolto, difatti l'avvocato parlava rivolto al muro, non solo, ma a voce bassa e svelto. “Desiderate che me ne vada?” chiese Block. “Visto che sei qui”, disse l'avvocato, “resta!” Si sarebbe potuto credere che l'avvocato non avesse esaudito il desiderio di Block, ma che lo avesse minacciato con un bastone, infatti ora Block iniziò davvero a tremare. “Ieri fui”, disse l'avvocato, “dal terzo giudice, mio amico, e pian piano ho portato il discorso su di te. Vuoi sapere che cosa disse?” “Oh, ve ne prego”, disse Block. Poiché l'avvocato non rispose subito, Block ripeté la richiesta abbassandosi come per inginocchiarsi. Allora K lo investì: “cosa fai?” gridò. Dal momento che Leni aveva voluto impedire tale richiamo di K, lui le afferrò anche l'altra mano. Non era la pressione dell'amore, quella con cui la strinse, e lei gemé a più riprese cercando di strappar le mani da lui. Tuttavia Block fu punito per il richiamo di K, infatti l'avvocato gli chiese: “ma chi è il tuo avvocato?” “Voi, lo siete”, disse Block. “E a parte me?” chiese l'avvocato. “Nessuno, a parte voi”, disse Block. “Allora non seguire nessun altro”, disse l'avvocato. Block approvò in pieno squadrando ostile K e scuotendo con violenza il capo al suo indirizzo. Traducendo tale condotta in parole, sarebbero state offese grossolane. E con un tipo simile K aveva voluto parlare amichevolmente della sua causa! “Non ti darò più noia”, disse K accomodatosi sulla sua sedia. “Inginocchiati, mettiti a quattro zampe, fa' quel che vuoi, a me non importa.” Tuttavia Block, almeno nei confronti di K, conservava la sua dignità, difatti andò verso di lui agitando i pugni e dichiarando a voce alta quanto la vicinanza dell'avvocato glielo permetteva: “Non potete permettervi di parlarmi così, non è consentito. Perché mi offendete, per di più qui davanti al signor avvocato, dove entrambi, voi e io, siamo tollerati per compassione? Non siete migliore di me, perché anche voi siete imputato e avete un processo. Se però, ciò nonostante, siete ancora un signore, lo sono anch'io, se non anche più importante. E voglio che mi si parli come a un signore, per l'appunto da parte vostra. Se però ritenete preferibile sedere tranquillo qui e permettervi di stare a sentire tranquillo, mentre io , come vi esprimeste, mi metto a quattro zampe, allora vi ricordo il vecchio detto: chi sotto accusa è meglio si muova e non stia quieto, perché chi sta quieto può sempre, senza saperlo, esser su un piatto della bilancia e venir pesato con la sua colpa.” K non disse nulla, limitandosi a guardare meravigliato, senza batter ciglio, quell'uomo confuso. Che razza di cambiamenti s'erano prodotti in lui, Block, già nelle ultime ore! Ciò dipendeva dal processo, che lo sbatteva da una parte all'altra e non gli permetteva di capire dov'era l'amico e dove il nemico? Non vedeva infatti che l'avvocato lo umiliava intenzionalmente e stavolta non mirava ad altro che a darsi delle arie davanti a K con il suo potere, e forse ad assoggettare anche K? Se Block però non era capace di capirlo, oppure se temeva l'avvocato al punto che capire non poteva servirgli, com'era possibile che fosse tanto scaltrito o tanto intrepido da ingannare l'avvocato tacendogli che lui faceva lavorare per sé altri avvocati a parte lui? E perché osava assalire K, dal momento che K poteva subito tradire quel segreto? Ma osò anche di più, andò al letto dell'avvocato e cominciò anche lì a reclamare in merito a K: “signor avvocato”, disse, “avete sentito come mi ha parlato quest'uomo. Si possono ancora contare le ore del suo processo e già vuol dare lezioni a chi è sotto processo da 5 anni. Addirittura mi ingiuria. Non sa nulla e ingiuria me, che nei limiti delle mie deboli forze ho studiato bene ciò che serve in fatto di buona creanza, di responsabilità e di regole tribunalizie.” “Non ti curare di nessuno”, disse l'avvocato, “e fa' ciò che ti pare giusto.” “Certo”, disse Block, come dandosi coraggio, e s'inginocchiò, dando una breve occhiata di lato, vicinissimo al letto.” “Sono in ginocchio, avvocato mio”, disse. Tuttavia l'avvocato taceva. Block sfiorò cauto con una mano il piumino. Nel silenzio ora dominante, Leni disse, mentre si liberava dalle mani di K: “mi fai male. Lasciami andare da Block.” Ci andò e si sedette sulla sponda del letto. Block fu molto contento del suo arrivo, subito la pregò a segni vivaci, ma muti, di perorare la sua causa con l'avvocato. Aveva chiaramente bisogno molto urgente delle informazioni dell'avvocato, ma forse per farle sfruttare dai suoi altri avvocati. Probabile che Leni sapesse bene come poter avvicinare l'avvocato, ne indicò una mano e appuntò le labbra a mo' di bacio. Subito Block, infatti, eseguì il baciamano e, su invito di Leni, lo ripeté una seconda volta. Però l'avvocato seguitava a tacere. Allora Leni si chinò su di lui mostrando, nell'allungarsi, la grazia della sua figura, e, piegata profondamente sul viso di lui, gli sfiorò i lunghi capelli bianchi. Questo gli strappò una risposta. “Esito a confidarglielo”, disse l'avvocato, e si vide che scrollava un po' il capo, forse per partecipare di più al tocco della mano di Leni. Block ascoltava a testa china, quasi trasgredisse un ordine stando in ascolto. “Ma perché esiti?” chiese Leni. K ebbe la sensazione come di udire un colloquio preparato, che già si era spesso ripetuto, che si sarebbe ripetuto spesso, e che non riusciva a perdere la sua originalità solo per Block. “Come si è comportato oggi?” chiese l'avvocato invece di rispondere. Prima che Leni si pronunciasse in merito guardò Block osservando per un poco come sollevava le mani verso di lei e pregandola le sfregava l'una con l'altra. Infine annuì seria, si volse all'avvocato e disse: “Tranquillo e diligente.” Un anziano commerciante, un uomo dalla lunga barba, implorava da una ragazzina un giudizio favorevole. Magari aveva anche retropensieri, tuttavia nulla poteva giustificarlo agli occhi di un suo simile. Egli degradava chi lo stava a guardare. K non capiva come l'avvocato avesse potuto pensare di conquistarlo con quell'esibizione. Se già non lo avesse liquidato, con quella scena l'avvocato avrebbe raggiunto lo scopo. Dunque agiva così il suo metodo, al quale per fortuna K non era stato esposto abbastanza a lungo: il cliente finiva con lo scordare il mondo intero e sperava solo di trascinarsi su tale via, sbagliata, verso il termine del processo. Né era più un cliente, era il cane dell'avvocato. Gli avesse ordinato di strisciare sotto il letto come in un casotto per cani e da lì di abbaiare, lo avrebbe fatto con piacere. Quasi K fosse incaricato di prender buona nota di tutto ciò che veniva detto lì, di renderne conto in più alto loco facendone rapporto, stette a sentire con meditata puntigliosità. “Che hai fatto tutto il giorno?” chiese l'avvocato. “L'ho chiuso nella stanza della donna di servizio, dove lui si trattiene di solito, perché non mi desse noia durante il lavoro” disse Leni. “Dal buco della serratura di tanto in tanto potevo controllare quel che faceva. Stava sempre in ginocchio sul letto, aveva aperto le carte che gli hai messo a disposizione sul davanzale e leggeva. Ciò mi ha bene impressionata; mi spiego, la finestra porta solo a un pozzo di ventilazione e quasi non fa nessuna luce. Che Block ciò nonostante leggesse mi mostrò quanto sia diligente.” “Mi rallegra sentirlo”, disse l'avvocato. “Ha anche apprezzato quanto letto?” Block durante tale scambio muoveva le labbra di continuo, chiaramente formulava le risposte che speranzoso si aspettava da Leni. “Non posso rispondere con precisione su questo, naturalmente”, disse Leni, “in ogni modo ho visto che leggeva con scrupolo. Ha letto per tutto il giorno la stessa pagina e mentre leggeva muoveva il dito sotto le righe. Quando lo guardavo ha sempre sospirato come se leggere gli facesse assai fatica. Le carte che gli hai messo a disposizione probabilmente sono difficili da capire.” “Sì”, disse l'avvocato, “lo sono certamente. E non credo che lui ci capisca qualcosa. Devono dargli solo un sentore di quanto sia difficile la battaglia che io conduco in sua difesa. E per chi la conduco, questa difficile battaglia? Per Block – è quasi da ridere dirlo - per Block. Anche quel che significa questo lui deve imparare a capire. Ha studiato ininterrottamente?” “Quasi”, rispose Leni, “solo una volta mi ha chiesto dell'acqua da bere. Allora gli ho porto un bicchiere dall'abbaino. Circa alle otto l'ho fatto uscire e gli ho dato qualcosa da mangiare.” Block sfiorò K con un'occhiata di sbieco quasi che venisse riferito di lui qualcosa di lodevole che doveva fare impressione anche a K. Parve ora che avesse buone speranze, si muoveva con più libertà e si spostò un poco sulle ginocchia. Tanto più chiaro fu come lui rimase di gelo alle parole dell'avvocato: “lo elogi”, disse. “Tuttavia proprio questo mi rende difficile parlare. Il giudice, mi spiego, non si è espresso in modo positivo , né su Block né sul suo processo.” “Non positivo?” - chiese Leni. “Com'è possibile?” Block la guardò in un modo carico di tensione, sembrava che le confidasse la capacità di trasformare, ora, a pro suo le parole da lungo tempo profferite dal giudice. “Non positivo”, disse l'avvocato. “Fu addirittura colpito sgradevolmente quando iniziai a parlare di Block. 'Non parlate di Block', disse. 'E' mio cliente', dissi. 'Voi vi lasciate manipolare', disse. 'Non ritengo la sua causa perduta', dissi. 'Voi vi lasciate manipolare', ripeté lui. 'Non credo', dissi. 'Block sta nel processo con diligenza e segue sempre la sua causa. Abita quasi presso di me per essere sempre al corrente. Non si trova sempre uno zelo simile. Certo personalmente è spiacevole, ha modi importuni ed è sporco, ma dal punto di vista del processo è inappuntabile.' Dissi inappuntabile, esagerai a bella posta. E lui disse: 'Block è scaltro e basta. Ha accumulato molta esperienza e sa differire il processo. Ma la sua insipienza è ancora più grande della sua scaltrezza. Che cosa direbbe, se venisse a sapere che il suo processo nemmeno è iniziato, se gli si dicesse che ancora non è suonato il campanello di inizio del processo?' Calma, Bolck”, disse l'avvocato, infatti Block stava levandosi incerte sulle ginocchia e chiaramente chiedeva di avere una spiegazione. Era la prima volta, in quel momento, che l'avvocato si rivolgeva a Block espressamente. Con gli occhi stanchi guardò metà nel nulla, metà verso Block, che a tale sguardo si rimise pian piano in ginocchio. “Quanto ha detto il giudice non ha alcun significato per te”, disse l'avvocato. “Non ti spaventare per ogni parola. Se ciò si ripete non ti dirò più proprio niente. Non si riesce a iniziare una frase senza che tu stia a guardare chi parla come se fosse in questione la tua sentenza definitiva. Vergognati, davanti al mio cliente! La fai vacillare anche tu la fiducia che egli ha in me. Ma che cosa vuoi? Sei ancora vivo, ancora sei sotto la mia protezione. Timore insensato! Hai letto da qualche parte che la sentenza definitiva in molti casi viene all'improvviso da una bocca qualsiasi, in un momento qualsiasi. Certamente ciò è vero, con molte riserve, ma è altrettanto vero però che la tua paura mi offende e che io vi vedo una mancanza della necessaria fiducia. Che ho mai detto? Ho riferito le parole di un giudice. Lo sai che diversi pareri si accumulano attorno al procedimento fino alla impenetrabilità. Questo giudice per esempio assume che il procedimento inizi in un momento diverso da quanto faccio io. Una differenza di opinioni, niente di più. In un certo stadio del processo si ha, stando a un uso antico, la scampanellata. Secondo il parere di questo giudice è allora che inizia il processo. Ora non posso dirti tutto quello che contraddice tale parere, non lo capiresti neppure, ti basti che è molto, a contraddirlo.” Confuso, Block passava le dita giù sulla pelliccia dello scendiletto, la paura causata dalle parole del giudice gli faceva dimenticare temporaneamente la propria sudditanza nei confronti dell'avvocato, non pensava che a sé e rigirava da ogni parte le parole del giudice. “Block”, disse Leni in tono di ammonizione tirandolo un po' su per il colletto. “Lascia perdere la pelliccia e sta' ad ascoltare l'avvocato.”


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