venerdì 27 febbraio 2015

F.Kafka: La sentenza. Una storia.

Per F.

Avvenne una domenica mattina di primavera, magnifica. Georg Bendemann, giovane commerciante, sedeva in camera sua al primo piano di uno dei casamenti senza pretese che si estendono lungo il fiume, diversi tra loro quasi solo in fatto di colore ed altezza. Era al termine di una lettera ad un amico che si trovava all'estero, la concluse con lentezza compiaciuta e poi guardò, appoggiati i gomiti sulla scrivania, il fiume fuori dalla finestra, i ponti e le alture oltre l'altra riva, con il loro delicato verde.
Meditava sul modo come questo amico, scontento della sua carriera in patria, da anni era per davvero scappato in Russia. Ora aveva un'occupazione a Pietroburgo che era iniziata molto bene, ma da tempo pareva già ristagnare, come l'amico lamentava nelle sue sempre più rare visite. Così all'estero lui si arrabattava a vuoto, l'esotica barba riusciva maluccio a nascondere il ben noto viso degli anni giovanili, di cui il colorito giallastro sembrava indicare lo sviluppo d'una malattia. Come andava raccontando, lui non aveva nessuna relazione vera e propria con la locale colonia dei connazionali, neanche quasi alcun rapporto sociale con famiglie del posto, e si preparava a ritrovarsi definitivamente scapolo.
Che cosa scrivere ad un uomo simile, tanto evidentemente fissato di essere uno da compatire, non da aiutare? Gli si poteva forse consigliare di far ritorno in patria, di ritrasferirci la sua vita, di riprendere tutte le vecchie relazioni amichevoli – al che nulla era certo d'ostacolo – e di confidare per il resto nell'aiuto dell'amico? Questo però significava solo dirgli nello stesso tempo, quanto più riguardosamente tanto più offensivamente, che i tentativi fatti da lui finora erano falliti, che doveva decidersi ad abbandonarli, che avrebbe dovuto ritornare e farsi guardare da tutti chiaramente come un definitivo sconfitto, che solo gli amici capivano qualcosa e che lui era un ex ragazzo cui restava solo da imitare gli amici di successo rimasti a casa. E poi, era certo che tutta la pena che gli si sarebbe dovuta cagionare avesse uno scopo? Forse non si riusciva neanche a farlo ritornare – anzi, proprio lui diceva di non raccapezzarcisi più, delle relazioni in patria - , e così nonostante tutto se ne rimaneva lontano, amareggiato dai consigli ed ancor più distante dagli amici. Se di fatto avesse seguito il consiglio e poi qui si fosse scoraggiato – non apposta, è naturale, oggettivamente -, se non se la fosse cavata né con gli amici né senza di loro, se si fosse vergognato, allora sul serio non avrebbe più avuto né patria né amici; non era molto meglio per lui rimanere all'estero come ci si trovava? Date le circostanze, infatti, si poteva pensare che in patria avrebbe davvero fatto progressi?
Per questi motivi, se pur si aveva intenzione di mantenere relazioni epistolari sincere, non si poteva comunicargli alcunché di particolare, come si sarebbe fatto senza timore anche con i più lontani conoscenti. Già da più di tre anni l'amico non era stato in patria, questo si spiegava più o meno con l'incertezza della situazione politica in Russia, che non consentiva l'assenza più breve neppure ad un modesto uomo d'affari, mentre invece centomila russi se ne andavano tranquilli per il mondo. Ma proprio nel corso di quei tre anni molto era cambiato per Georg. Dopo il decesso di sua madre, avvenuto da circa due anni, lui viveva con l'anziano suo padre condividendo le spese di casa, del resto l'amico era venuto a saperlo ed aveva espresso le sue condoglianze con una lettera la cui stringatezza poteva essere spiegata solo con l'argomento che il dolore per un evento simile da lontano si rende del tutto inconcepibile. Ma da allora Georg aveva anche preso in mano con maggior decisione il suo lavoro e tutto il resto. Vivente la madre, il padre, che sul lavoro voleva far valere soltanto il proprio punto di vista, forse gli aveva impedito di agire in modo veramente suo. E forse, morta la madre, per quanto si occupasse pur sempre dell'ufficio, il padre era divenuto più guardingo, se non giocava un ruolo più importante la buona sorte - molto verosimilmente, del resto -, comunque fosse, però, il lavoro in quei due anni si era sviluppato in modo totalmente inaspettato. Si era dovuto raddoppiare il personale, quintuplicato il giro d'affari, si prospettava senza dubbio un ulteriore progresso.
L'amico tuttavia di tal cambiamento non sapeva niente. Prima, forse l'ultima volta in quella lettera di condoglianze, aveva voluto convincere Georg a fare un viaggio in Russia e si era dilungato sulle prospettive che proprio per il genere di attività di Georg c'erano a Pietroburgo. Quantitativamente minime, in confronto all'estensione assunta ora dagli affari di Georg. Che però non aveva avuto alcuna voglia di scrivere all'amico dei suoi successi commerciali, ed ora, a scoppio ritardato, la cosa sarebbe apparsa davvero strana.
Ecco quindi che Georg si era limitato a scrivergli cose insignificanti come quelle che si affastellano disordinatamente nella memoria quando ci si pensa nella tranquillità d'una domenica. Non desiderava nient'altro che lasciare intatta l'immagine che l'amico si era probabilmente fatta della città natale nei lunghi intervalli di tempo tra le sue visite, e che a lui bastava. Perciò era successo che Georg ripetesse in tre lettere piuttosto distanti tra loro la nuova del fidanzamento d'un tale con la tal signorina, al punto che l'amico poi aveva cominciato ad interessarsi di questa cosa curiosa, del tutto in contrasto con le previsioni di Georg.
Il quale però scriveva di cose come queste assai più che non di quelle che avrebbe dovuto scrivere, che anch'egli da un mese si era fidanzato con la signorina Frieda Brandenfeld, una fanciulla di buona famiglia. Con lei aveva parlato spesso di quell'amico e della particolare relazione epistolare che aveva con lui. “In questo modo non verrà alle nostre nozze”, aveva detto lei, “ed invece io ho il diritto di fare la conoscenza di tutti i tuoi amici.” “Non voglio disturbarlo”, aveva riposto lui. “Fa' attenzione, probabilmente verrebbe, almeno credo, ma si sentirebbe forzato e leso, magari mi invidierebbe e di certo ripartirebbe in solitudine scontento e del tutto incapace di eliminare tale scontentezza. In solitudine – hai presente la solitudine?” “Certo, ma non può venir a sapere anche in un altro modo che ci sposiamo?” “Non c'è dubbio, non posso impedirlo, ma visto come vive, la cosa è improbabile.” “Con amici del genere non avresti dovuto nemmeno fidanzarti, Georg.” “La colpa è di tutti e due, certo; ma a me ora va proprio bene così.” E quando, ansimando sotto i suoi baci, lei aveva continuava però a manifestare la sua afflizione, “però a me dà noia lo stesso”, lui aveva rivalutato l'importanza di scriver tutto all'amico. “Così sono io, così mi deve accettare lui”, si era detto, “non posso estirpare da me un uomo che, forse, sarebbe più adatto all'amicizia con lui di quanto lo sia io.”
Ed in effetti nella lunga lettera di quella domenica mattina riferiva del fidanzamento avvenuto con le seguenti parole: “Ho serbato per ultima la miglior nuova. Mi sono fidanzato con una certa signorina Frieda Brandelfeld, una fanciulla di buona famiglia che si è stabilita qui molto tempo dopo la tua partenza e che quindi hai potuto conoscere appena. Ci sarà ancora occasione di darti maggiori dettagli sulla mia fidanzata, oggi ti basti sapere che sono veramente felice e che nella relazione tra noi è cambiato qualcosa soltanto perché tu ora in me avrai, oltre che un normalissimo amico, un amico felice. Inoltre con lei, che ti saluta di cuore e che prestissimo ti scriverà, ti trovi ad avere un'amica sincera, ciò che per uno scapolo non è proprio insignificante. Lo so, sono tante le cose che t'impediscono di farci una visita. Ma non sarebbero le mie nozze proprio l'occasione buona per abbattere una buona volta tutti gli ostacoli? Sia come sia, fa' come sinceramente ti senti e senza alcuno scrupolo.”
Con la lettera in mano Georg rimase a lungo seduto alla scrivania guardando verso la finestra. Ad un conoscente, che l'aveva salutato dalla via avvicinandosi, lui aveva risposto appena con un sorriso distratto.
Infine cacciò la lettera in tasca e da camera sua, attraverso un corridoietto, uscì in direzione della camera del padre, dove non era stato da mesi. Non che fosse minimamente costretto a farlo, perché in ufficio erano sempre in contatto. A mezzodì pranzavano insieme in un ristorante, la sera ognuno faceva a modo suo, ma dopo sedevano ancora un po' in soggiorno, il più delle volte ognuno con il suo giornale, quando Georg, come succedeva assai di frequente, non si trovava con amici o, come ora, non andava a trovare la fidanzata.
Di come fosse buia la camera del padre, pure in quella mattinata di sole, Georg fu sorpreso. A gettare una tale ombra era l'alto muro che si ergeva dall'altra parte dello stretto cortile. Il padre sedeva accanto alla finestra in un angolo addobbato di numerosi ricordi della povera mamma, leggendo il giornale che teneva davanti agli occhi voltato in modo da compensare una certa sua quale debolezza visiva. Sul tavolo c'erano gli avanzi della colazione, di cui sembrava che fosse stato consumato poco.
“Oh, Georg!”, disse il padre andandogli incontro. La pesante vestaglia gli si aprì, nel camminare, e le estremità gli ondeggiarono intorno - “mio padre è sempre un colosso”, considerò Georg.
“E' insopportabile il buio, qui”, disse quindi.
“E' già buio, davvero”, rispose il padre.
“Anche la finestra hai chiuso?”
“Mi piace di più così.”
“Ma fa così caldo, fuori”, disse Georg come in preda alla domanda da lui fatta pocanzi, e si mise seduto.
Il padre sbarazzò le stoviglie della colazione e le mise su un cassettone.
“Veramente volevo dirti solo”, seguitò Georg seguendo tutto assorto i movimenti del padre, “che ho appena annunciato il mio fidanzamento a Pietroburgo.” Fece spuntare dalla tasca la lettera e di nuovo la lasciò ricadere.
“A Pietroburgo?”, domandò il padre.
“Sì, al mio amico”, disse Georg cercando gli occhi del padre - “in ufficio è tutta un'altra persona”, pensò, “ rispetto a come siede qui spaparanzato a braccia conserte.”
“Certo. Al tuo amico”, disse il padre enfaticamente.
“Babbo, lo sai che dapprima glielo volevo tacere, il mio fidanzamento. Per riguardo, mica per altro. Lo sai anche tu, è una persona difficile. Può ben venire a saperlo per altre vie, mi dissi, anche se per come vive non è mica probabile – non posso nascondere questo – ma da me no.”
“E ora hai ricambiato idea?”, domandò il padre, mise l'ampio giornale sul bordo della finestra, sul giornale gli occhiali, e sugli occhiali una mano.
“Sì, ho ricambiato idea. Mi sono detto, se è mio buon amico allora il mio felice fidanzamento è una felicità anche per lui. Perciò non ho più aspettato ad annunciarglielo. Prima d'imbucare però volevo dirtelo.”
“Georg”, disse il padre allargando la bocca sdentata, “ascoltami una buona volta! Sei venuto da me a consigliarti per questa faccenda. Ti fa onore, non c'è dubbio. Ma è niente, meno che niente, se ora non mi dici la verità. Non voglio rivangare cose che con queste non c'entrano. Dalla morte della nostra cara mamma son capitate cose non belle. Forse viene anche il loro momento, e prima di quanto pensiamo noi. In ufficio molto mi sfugge, forse mi viene celato – ora non intendo congetturare che mi venga proprio celato -, io non sono più forte abbastanza, la mia memoria scema. Lo sguardo su tutto non ce l'ho più. E' normale che sia così, per prima cosa, e per seconda
la morte della nostra mammina ha colpito assai di più me che non te. - Ma già che ci siamo, su questa faccenda, su questa lettera, ti prego Georg, non m'ingannare. E' una sciocchezzuola, una cosa da nulla, e dunque non m'ingannare. Quest'amico a Pietroburgo, è vero che lo hai?”
Georg si alzò imbarazzato. “Lasciamo perdere i miei amici. Mille amici non mi compensano mio padre. Sai che cosa credo? Che non ti riguardi abbastanza. Invece l''età ha i suoi diritti. Tu mi sei indispensabile in ufficio, lo sai bene; ma se il lavoro dovesse nuocere alla tua salute, io gli porrei fine per sempre già da domani. Non va bene. Dobbiamo iniziare un nuovo modo di vivere, per te. Ma completamente nuovo. Ti siedi qui al buio quando in soggiorno avresti luce ottima. Mangiucchi la colazione invece di irrobustirti come si deve. Stai seduto vicino alla finestra chiusa, e l'aria ti farebbe tanto bene. No, babbo! Andrò a chiamare il medico e seguiremo le sue prescrizioni. Cambieremo di camera, tu in quella che dà sulla strada, io in questa. Per te nessun cambiamento, ogni cosa verrà scambiata. Tutto a suo tempo, però, ora mettiti ancora un po' a letto, necessiti di assoluto riposo. Vieni, ti aiuto a spogliarti, vedrai, ci riuscirò. Oppure vuoi andare subito nella stanza sul davanti e metterti intanto nel mio letto? Che sarebbe del resto molto ragionevole.
Georg si trovava vicinissimo al padre, che aveva lasciato cadere sul petto la testa dai bianchi capelli arruffati.
“Georg”, disse senza muoversi.
Senza indugio Georg s'inginocchiò accanto al padre, vide nel suo viso stanco le pupille puntate su di sé dall'angolo degli occhi.
“Tu non hai nessun amico a Pietroburgo. Sei sempre stato un buffone e non l'hai celato neanche a me. Come potresti averci un amico, lì! Proprio non riesco a crederci.”
“Pensaci bene, babbo”, disse Georg, lo sollevò dalla sedia e, quando fu in piedi malfermo, gli tolse la vestaglia, “tra poco saranno tre anni da quando appunto lui venne a trovarci. Ancora mi ricordo che non ti piacque particolarmente. Almeno due volte te l'ho celato, eppure si trovava proprio in camera mia. Riuscivo bene a capire la tua antipatia per lui, che ha i suoi lati strani. Poi però di nuovo ti sei comportato molto bene con lui. Ero tanto fiero che tu allora stessi ad ascoltarlo, che annuissi e gli ponessi delle domande. Se ci rifletti, te ne ricordi per forza. Raccontò storie incredibili sulla rivoluzione russa. Come per esempio, in viaggio d'affari a Kiev, avesse visto durante un tumulto un prete, su un balcone, incidersi sul palmo della mano una vistosa croce di sangue, alzar la mano e gridare alla folla. Anzi, questa storia a volte l'hai raccontata anche tu.”
Intanto era riuscito a rimettere seduto piano piano il padre ed a togliergli i pantaloni di maglia che portava sulle mutande di lana, e le calze. Vedendo che la biancheria non era troppo pulita, si rimproverò di aver trascurato il padre. Sarebbe stato dovere suo anche curarsi del cambio di biancheria. Ancora non aveva parlato con la fidanzata apertamente di come organizzare il futuro del padre, ma senza dirlo avevano stabilito che lui sarebbe restato da solo nel vecchio appartamento. Ora invece si decise rapido e risoluto a prenderlo con sé nella futura casa. Gli parve quasi, anzi, a ben guardare, che assisterlo lì potesse essere cosa tardiva.
A braccia trascinò il padre a letto. Orribile fu la sua sensazione quando notò che il padre, durante i pochi passi verso il letto, giocherellava sul suo petto con la catena del suo orologio. Non riuscì subito a farlo sdraiare, così il padre si tenne stretto a quella catena.
Appena fu a letto, però, tutto sembrò a posto. Si coprì e si tirò la coperta sulle spalle. Senza antipatia guardò verso Georg.
“Non è vero che te ne sei ricordato, di lui?”, domandò Georg annuendo incoraggiante.
“Sono coperto bene, ora?”, domandò il padre, come se non riuscisse a vedere se aveva i piedi abbastanza coperti.
“Allora, sei contento di essere già a letto?”, disse Georg sistemandogli meglio le coperte.
“Sono ben coperto?”, domandò un'altra volta il padre sembrando far molta attenzione alla risposta.
“Sta' tranquillo, sei coperto bene.”
“No!”, urlò il padre, scontrandosi la sua risposta con la domanda del figlio, e respinse la coperta con tanta forza che quella, per un attimo, si dispiegò tutta quanta in volo. Si drizzò sul letto. Solo, teneva leggera una mano sulla tovaglia del tavolino da notte. “Volevi coprirmi, mio bel tomo, ma ancora non sono coperto. Foss'anche l'ultimo, è uno sforzo sufficiente per te, anche troppo! Lo conosco bene, io, il tuo amico. Sarebbe un figlio di mio gusto. L' hai imbrogliato per anni interi, e poi perché? Credi che non ci abbia pianto, io? Ti ci chiudi nel tuo ufficio, nessuno ha da disturbarti, il principale è occupato – solo per scrivere le tue letterine false in Russia. Fortuna però che nessuno deve insegnare al padre a indovinare le intenzioni del figlio. Quando hai creduto che l'avresti sopraffatto, sopraffatto al punto da poterti piazzare con il tuo didietro su di lui, e lui fermo, ecco che il mio signor figlio si è deciso alle nozze!”
Georg alzò lo sguardo verso quello spauracchio che era suo padre. L'amico di Pietroburgo, che di colpo il padre conosceva tanto bene, lo commosse come mai prima. Lo vide perso nella grande Russia. Lo vide alla porta dell'ufficio saccheggiato, vuoto. Tra i rottami della scaffalatura, tra le merci fatte a brani, i bracci dell'illuminazione a gas cadenti, ecco dov'era. Perché aveva dovuto andarsene così lontano?
“Ma guardami!”, gridò il padre, e Georg quasi annientato corse verso il letto per capire bene, ma si bloccò a metà strada.
“Perché si è tirata su le sottane”, cominciò con voce flautata il padre, “perché se l'è tirate su così, l'oca schifosa”, ed illustrò quelle parole alzandosi la camicia così in alto che si vide la cicatrice del tempo di guerra, sulla coscia, “perché s'è tirata su le sottane così, così e così, allora ti sei fatto sotto e per levarti la voglia con lei senza esser disturbato hai sporcato il ricordo della nostra mamma, tradito l'amico e ficcato a letto tuo padre perché non si possa muovere. Ma non si può muovere davvero?”
Si liberò del tutto e sfoggiò le gambe. Le sue intuizioni lo rendevano raggiante.
Georg stava in un angolo alla massima distanza possibile da lui. Aveva già da molto deciso fermamente di stare a guardare con assoluta precisione, per evitare d'esser preso di sorpresa in qualche modo con strane manovre alle spalle, o dall'alto in basso. Ora se ne ricordò, della decisione dimenticata da lungo tempo, e la scordò, come si tira un filo corto attraverso la cruna di un ago.
“L'amico però ora non è tradito”, gridò il padre, sottolineando le parole con l'oscillare a destra e a sinistra del dito indice. “C'ero io, qui, a fargli da difensore.”
“Commediante!”, Georg non poté trattenersi dal gridare riconoscendo subito l'errore e mordendosi, ma troppo tardi – sbarrò gli occhi – la lingua al punto di piegarsi dal dolore.
“Certo, si capisce, ho fatto la commedia! Commedia! Che bella parola! Che altra consolazione resta al vecchio padre vedovo? Dillo – e quando rispondi sii ancora il mio amato figlio – cosa mi resta, nella mia stanza sul retro, perseguitato da dipendenti infidi, vecchio fino al midollo? E mio figlio andava a far baldoria in giro, concludeva affari intrapresi da me, faceva capriole di piacere e davanti a suo padre transitava con la faccia abbottonata da uomo serio! Credi che non ti volessi bene, io, quello da cui tu sei nato?”
“Ora si sporgerà in fuori”, pensò Georg, “almeno cadesse e si stroncasse!”. Gli sibilarono in testa queste parole.
Il padre si sporse, ma non cadde. Non avvicinandosi Georg come lui si era aspettato, si sollevò di nuovo.
“Resta dove sei, non mi servi! Hai anche il coraggio di pensare di venir qui e di risparmiarti come ti pare. Attento a non sbagliarti! Sono ancor sempre io quello molto più forte. Da solo forse avrei dovuto farmi indietro, ma la mamma mi ha lasciato la sua forza, con il tuo amico mi ci sono splendidamente associato, il giro dei tuoi clienti ce l'ho qui in tasca!”
“Ci ha le tasche anche in camicia da notte!”, si disse Georg, e con tale osservazione credette che avrebbe potuto comprometterlo davanti a tutti. Solo per un attimo, lo pensò, poi continuò a dimenticarsi di ogni cosa.
“Provati a presentarti qui con la tua fidanzata a braccetto e te la levo di mezzo tu non sai come!”
Georg fece una smorfia d'incredulità. Il padre si limitò a fargli cenno di sì a mo' di asserzione della verità di quel che aveva detto.
“Come sei stato divertente oggi, però, quando sei venuto a chiedermi se avresti dovuto scrivere del fidanzamento al tuo amico. Lui sa tutto, scemo di un ragazzo, sa tutto! Gli ho scritto perché ti sei dimenticato di levarmi il necessario per scrivere. Ecco perché da anni non viene, perché sa tutto cento volte meglio di te. Con la mano sinistra appallottola le tue lettere senza leggerle, con la destra tiene le mie per leggerle!”
Ispirato, agitò un braccio in alto. “Mille volte meglio!”
“Diecimila!”, disse Georg per deriderlo, ma la parola gli fece nella bocca un effetto assai serio.
“Anni, che sto in attesa che tu venissi a chiedermelo! Credi che m'importi di altro? Credi che legga i giornali? Ecco!”, e tirò a Georg un foglio di giornale che chissà come era finito nel letto. Un vecchio numero già del tutto privo, per Georg, di significato.
“Prima di arrivare a deciderti, quanto ci hai messo! Doveva morire la mamma, senza poter partecipare al tal gioia, l'amico va in malora in quella sua Russia, già tre anni fa era giallo da buttar via, e io, lo vedi bene come sto. Gli occhi ce li hai!”
“Dunque tu mi hai fatto la posta!”, gridò Georg.
Compassionevole, il padre aggiunse: “Probabilmente volevi dirlo prima. Ora non serve più.”
Ed a voce più alta:”Ora dunque lo sai, quello che accade al di fuori di te, fin qui eri a conoscenza solo del tuo punto di vista! Eri proprio un ragazzo innocente, ma ancor più, davvero, eri un uomo diabolico! - Perciò sappilo: ora ti condanno a morire affogato!”
Georg si sentì cacciato via dalla stanza, la botta che dette il padre cadendo dal letto alle sue spalle gli restò nelle orecchie. Per le scale, sui cui gradini si affrettò come fossero un piano inclinato, sorprese la servetta che, trascorsa la notte, stava per salire a rimettere in ordine l'appartamento. “Gesù!”, gridò lei coprendosi il volto con il grembiule, ma lui era già oltre. Balzò fuori dal portone, spinto sulla strada in direzione dell'acqua. Già stringeva il parapetto come un affamato stringe il cibo. Prese lo slancio come il segnalato ginnasta che da ragazzo era stato per l'orgoglio dei genitori. Con le mani che perdevano di presa continuò a tenersi al parapetto tra le cui sbarre notò un omnibus che facilmente avrebbe coperto il rumore della sua caduta, e gridò appena: “Cari genitori, eppure vi ho sempre amati”, e si lasciò cadere.
In quel momento sul ponte c'era un traffico davvero senza fine.








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