venerdì 27 febbraio 2015
Condanna paterna
Nel post precedente si pubblica la traduzione di un racconto del primo Kafka. Merita chiarire che l'autore mette il lettore in grado di confrontare i due diversi punti di vista del figlio e del padre sulla stessa materia. Il padre sembra passabilmente rimbambito, sì, il figlio d'altra parte appare alquanto capace di raccontarsi delle frottole e di crederci. Quanto al suicidio finale, esso risponde più allo sgomento della scoperta, da parte del figlio, di essere un ipocrita, che non all'assurda condanna pronunciata dal padre - a "morire annegato". Retorica presa alla lettera. K non è, qui, "vittimologicamente" schierato dalla parte del figlio. Il motivo è semplice: K non era un cretino.
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