lunedì 6 agosto 2012

F.Kafka: Ritorno a casa


Sono tornato a casa, ho attraversato il vecchio cortile della fattoria di mio padre. Nel mezzo il pantano. Un intrigo di vecchi inutili attrezzi ostacola l’accesso ai piedi della scala. La gatta fa la posta sul muro. Un drappo che ha visto giorni migliori, attorcigliato al palo, si rianima nel vento. Sono arrivato. Chi mi accoglierà? Chi aspetta dietro la porta della cucina? Sale fumo dal comignolo, si prepara il caffè per la cena. Ti pare accogliente, ciò, ti senti a casa? Non so, sono molto incerto. E’ la casa di mio padre, ma i suoi pezzi restano freddi uno accanto all’altro, come se ognuno fosse occupato in una sua faccenda che io non ho dimenticato e non potevo dimenticare. In che cosa poteva loro servire, che cosa è per loro, e per suo padre, il figlio del vecchio contadino? Non oso bussare alla porta della cucina, ascolto a distanza, solo a distanza, per non esser scoperto come uno che origlia. E poiché ascolto a distanza, non capisco niente, sento unicamente un leggero battere dell’ora, se non, invece, mi limito a pensare di udirlo a rimorchio dei tempi dell’infanzia. Quel che invece accade nella cucina è il mistero, protetto contro di me, di chi siede lì dentro.
Quanto più a lungo s’indugia davanti alla porta, tanto più si diventa sconosciuti. Come sarebbe, se ora qualcuno aprisse la porta e mi domandasse qualcosa? Allora io stesso non sarei come chi vuole custodire il suo segreto?




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