martedì 5 giugno 2012

F.Kafka: A cavallo di un secchio.

Consumato tutto il carbone, vuoto il secchio, la paletta inutile, la stufa diffonde freddo, il gelo divora la stanza, fuori della finestra alberi irrigiditi nella brina, il cielo è uno scudo argenteo ostile a chi vorrebbe il suo aiuto. Devo procurarmi del carbone, non posso mica morire assiderato; dietro di me ho la spietatezza della stufa, davanti il cielo, anche lui spietato; ecco perché devo decidermi a cavalcare alla svelta per cercare aiuto dal carbonaio. Dato che lui è di solito insensibile alle mie preghiere, devo dimostrargli con la massima precisione che non ho più neanche un pezzetto di carbone e che lui perciò rappresenta addirittura il sole nel firmamento. Devo arrivare da lui come un mendicante moribondo che rantola per la fame sulla soglia dell’ingresso, cui la cuoca dei padroni decide di conseguenza di far versare in gola il fondo di caffè avanzato: proprio nello stesso modo il carbonaio deve buttare una paletta piena di carbone nel mio secchio, contrariato ma obbediente al comandamento “Non uccidere”. La mia uscita di casa dev’essere decisiva, perciò cavalco il secchio. Come cavaliere del secchio, una mano stretta al manico, la semplicissima briglia, faccio le scale con difficoltà, tuttavia il secchio mi si solleva sotto magnifico; i cammelli, umilmente accovacciati al suolo, non si levano, colpiti dal bastone del padrone, in modo più bello. Per la via, che è assai ghiacciata, procediamo al trotto regolare, non poche volte vengo sollevato all’altezza dei primi piani, mai ai portoni delle case. Incredibilmente alto mi libro di fronte al soffitto della cantina del carbonaio, dove lui, in basso, ripiegato sul suo tavolo, scrive: per smaltire il calore esagerato ha aperto la porta. “Carbonaio!” grido con la voce rauca per il freddo, avvolto in una nube di fumo, “ti prego, carbonaio, dammi un po’ di carbone. Ho il secchio così vuoto che riesco ad andarci a cavallo. Sii così buono. Quando posso ti pago.” Il carbonaio porta la mano all’orecchio. “Ci sento bene?”, chiede al di sopra della spalla di sua moglie, che lavora a maglia sulla panca della stufa, “ci sento bene? Un cliente.” “Io non ho sentito proprio nulla” dice la moglie, respirando impassibile sui ferri del lavoro a maglia, la schiena piacevolmente scaldata. “Sì” grido, “sono un vecchio cliente fedele, affezionato, solo per il momento sprovvisto di mezzi”. “Moglie”, dice il carbonaio, “è qualcuno, non posso certo sbagliarmi, dev’essere un cliente, un vecchio cliente, a parlar così al mio cuore.” “Cos’hai, marito?”, dice la moglie appoggiandosi il lavoro al petto per riposarsi un momento. “Non è nessuno, la strada è vuota, tutti i nostri clienti sono a posto, possiamo interrompere i nostri affari per giorni e riposarci.” “Ma io sono qui sul secchio”, grido, e senza che me ne accorga lacrime di freddo mi velano gli occhi, “per favore, guarda fuori, mi vedrai facilmente, per favore, una paletta piena di carbone, e sarei felicissimo se me ne voleste dare due. Gli altri clienti sono già riforniti. Ah! Già lo sento scricchiolare nel secchio!” “Arrivo”, dice il carbonaio, e vorrebbe salire la scale della cantina con quelle sue gambe corte, ma la moglie è già su di lui, lo blocca per un braccio e dice: “Tu non ti muovi, tu desisti dalla tua testardaggine, ci vado io. Pensa a quella brutta tosse di stanotte. Per un affare solo ipotetico trascuri moglie e figlio e sacrifichi i polmoni? Vado io.” “Allora però fagli l’elenco di tutte le qualità di carbone che abbiamo in magazzino, che io ti grido i prezzi.” “Bene”, dice la moglie e sale in strada. Naturalmente mi vede subito. “Signora carbonaia”, grido, “le porgo i miei rispettosi saluti, soltanto una paletta piena di carbone, qui, nel secchio, che la porto a casa, una paletta piena del più scadente. Naturalmente lo pago tutto, ma non subito, non subito.” Come scampanano le due parole “non subito”, e come si confondono con l’Avemaria che per l’appunto si sente dal campanile della chiesa vicina. “Cosa vuole, allora?”, grida il carbonaio. “Niente”, risponde gridando la moglie, “non è niente, non vedo niente, non sento niente, soltanto che suonano le sei e noi ora si chiude. Il freddo è spaventevole, domani di sicuro avremo molto lavoro.” Non vede e non sente nulla, lei, eppure si slaccia il grembiule e tenta di sventagliarmelo addosso. Purtroppo le riesce. Il mio secchio ha tutte le qualità di un animale da sella, ma non quella di resistere, troppo leggero, basta un grembiule da donna a farlo volar via. “Cattiva!”, le grido di rimando, mentre girandosi verso il negozio, metà soddisfatta metà sprezzante, lei, armata di grembiule, colpisce l’aria. “Cattiva! Ho implorato una paletta piena di carbone, del più scadente, e tu non me l’hai data”. E mai più a rivederci, io salgo dove le montagne sono di ghiaccio, dove mi perdo.

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