mercoledì 13 giugno 2012

F.Kafka:Una vecchia pagina

Sembra che molto sia stato trascurato nella difesa della nostra patria. Finora non ci abbiamo fatto caso, badando agli affari nostri, tuttavia gli ultimi avvenimenti ci danno da pensare. Io ho una bottega di calzolaio nella piazza antistante il palazzo imperiale. Appena apro, alle prime luci dell’alba, vedo già le strade che sbucano nella piazza occupate da uomini armati. Ma non sono soldati nostri, sembra che siano nomadi provenienti dal nord. Senza che io capisca come, sono penetrati fino nella capitale, che per altro si trova molto lontana dal confine. Eppure eccoli lì, e sembra che aumentino ogni giorno. Secondo la loro natura stanno accampati sotto il cielo, dato che detestano abitare nelle case. Si danno da fare affilando le loro spade, mantenendo appuntite le lance, e si esercitano a cavallo. Di questo luogo, tenuto sempre scrupolosamente pulito, hanno fatto una stalla. Noi talvolta cerchiamo, è vero, di schiodarci dai nostri affari e di eliminare la sporcizia peggiore, ma ciò succede sempre più raramente, perché la fatica è inutile, e per giunta ci espone al pericolo di finire sotto i cavalli selvaggi o di esser feriti dalle fruste. Con i nomadi non si può parlare. Non conoscono la nostra lingua, ammesso che ne abbiano una loro. S’intendono reciprocamente a mo’ di cornacchie. Si continua a sentire questo gracchiare di cornacchie. Il nostro modo di vivere e i nostri costumi a loro sono tanto incomprensibili quanto indifferenti. Perciò sembrano alieni anche davanti al linguaggio mimico. Hai voglia di serrare le mascelle e di stringerti con le mani le giunture, loro non ti capiscono né ti capiranno. Spesso fanno smorfie, ruotano le pupille in alto mostrando il bianco degli occhi, ma non è che vogliano dirti qualcosa o spaventarti, lo fanno e basta, è la loro razza. Quel che gli serve se lo prendono, non si può dire che usino la forza. Se pigliano, ci si fa da parte e gli si lascia tutto. Hanno prelevato anche dalla mia bottega parecchi buoni pezzi, non posso rammaricarmene, però, se guardo a come vanno le cose al macellaio di fronte. Appena porta dentro la sua merce, tutto gli vien portato via dai nomadi, e divorato. Anche i loro cavalli si nutrono di carne, spesso un cavaliere e il suo cavallo stanno lì e si sfamano allo stesso pezzo di carne, ognuno dalla sua parte. Quest’azzannare è spaventoso e ci vuole coraggio per portare a termine la consegna della carne, tuttavia ce ne rendiamo conto, facciamo la colletta e aiutiamo il macellaio. Se non avessero la carne, i nomadi, chissà che cosa verrebbe loro in mente di fare, del resto chissà che cosa hanno in mente anche quando ne ricevono tutti i giorni. Tempo fa il macellaio pensò di risparmiarsi la fatica della macellazione, e una mattina portò un bue vivo. Non poté più rifarlo. Io per un’ora mi ritrovai schiacciato sul pavimento, dentro la mia bottega, addosso un mucchio di vestiti, coperte, cuscino, tutto per non sentire i muggiti del bue, assalito da ogni parte dai nomadi che gli azzannavano pezzi di carne viva. S’era fatto silenzio da un bel po’, prima che mi azzardassi a venir fuori; e quelli si sbracavano attorno ai resti del bue, parevano ubriachi attorno a una botte di vino. Fu proprio quella volta che ebbi il pensiero che l’imperatore stesso, stando a una finestra del palazzo, avesse visto; altrimenti mai che lui venisse in questo suo appartamento esterno, viveva sempre unicamente nel giardino più interno, ma stavolta si trovava, così almeno mi sembrò, ad una delle finestre, e guardava a testa bassa quel che succedeva davanti alla sua residenza. “Com’è avvenuto ciò?”, ci domandiamo noi tutti. “Per quanto tempo sopporteremo questa pena, questo supplizio? Il palazzo imperiale ha attirato i nomadi, ma non sa scacciarli. La porta rimane chiusa, la guardia, che prima sempre marciava solennemente dentro e fuori, ora sorveglia da dietro le inferriate. La salvezza della patria è affidata a noi artigiani e commercianti, ma non siamo all’altezza di tale compito e non abbiamo mai preteso di esserlo. Si tratta di un equivoco che ci manda in rovina.”

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